giovedì 22 giugno 2017

XI SETTIMANA DEL T.O. ANNO DISPARI - MARTEDÌ

Mt 5, 43-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Le parole di Gesù sono chiare e cioè dobbiamo estirpare dal nostro cuore ogni sentimento di vendetta contro chi ci ha offeso o anche porta avanti nella sua vita dei comportamenti veramente disumani. Ciò tuttavia non è contrario al chiedere ed ottenere giustizia. Insomma ci viene chiesto qualcosa che, se pensiamo a come siamo fatti, ci sembra davvero impossibile poter realizzare. Ci sovvengono però le parole di Gesù mentre stava morendo per mano dei suoi persecutori quando disse: "Padre perdona loro perchè non sanno quello che fanno.". Queste sue parole portandoci il soffio potente del suo  Spirito possono aiutarci a modificare il nostro atteggiamento e farci capire che 'si può fare' e cioè ci si può distaccare dai sentimenti d'odio. In verità ogni vissuto negativo è un lascito infernale che sembrerebbe non aver niente a che fare con chi vuole avere avere giustizia, ma a ben vedere trova la sua carica proprio nel misfatto che si vuole sanzionare. E' come se guardando all'orribilità del torto subito questo ci passasse parte del suo  orrendo modo di essere. Gesù invece si è caricato in modo diverso del peccato degli uomini: egli se l'è accollato ma non ha permesso che nel suo cuore si impiantasse l'odio e la vendetta e così ha potuto risorgere per farci vedere come il suo modo d'essere al mondo produce salvezza e bellezza. 

Michel Sebregondio

lunedì 19 giugno 2017

DOMENICA DOPO LA TRINITA'
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

 Gv 6, 51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 

Gesù stabilisce un rapporto stretto tra la sua carne e la vita del mondo e dunque non solo per gli esseri umani. La sua carne è fatta di materia di questo mondo e così si capisce come in un passo dell'Apolicasse si parli di nuova terra e nuovo cielo. Siamo dunque chiamati a modellare con Gesù attraverso la sua santa Carne anche questo universo materiale che aspetta ilnostro contributo come frutto della risposta accogliente che noi diamo a Gesù che ci invita a mangiare la sua carne e bere il suo sangue. 

Michele Sebregondio


lunedì 12 giugno 2017

13 GIUGNO

X SETTIMANA DEL T.O. ANNO DISPARI - MARTEDÌ
SAN ANTONIO DI PADOVA (m)
Sacerdote e Dottore della Chiesa 


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Mt 5, 13-16


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il mòggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».   

Gesù qui ci proietta in una atmosfera completamente diversa dal nostro abituale modo di essere su questa terra. Questo modo ha il suo centro respirante nel nostro io e nel modo come viviamo e ci interconnettiamo con i nostri simili. Si tratta di una abitudine a  relazionarsi che fa perno in quel voler prendere le distanze o le vicinanze a partire da noi stessi. E ciò in effetti è negativo per quanto riguarda il comandamento dell’amore ma potrebbe rimanere tale anche nel caso in cui invece di prenderci la responsabilità delle nostre idee e delle nostre azioni ci trinceriamo dietro una cortina di falsa umiltà. 

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Sentirsi, ad esempio insipidi, senza spessore o una nullità non pare essere, a seguire le parole di Gesù, qualcosa che ci renda degni di permanere nel regno di luce del Signore Gesù.  Il fatto è che quando con le nostre viscere ci sentiamo impegnati in un rapporto con il Signore, e fatta eccezione per quei casi in cui usiamo male di questa appartenenza per ridicolizzare il nostro prossimo,  noi partecipiamo di quella gloria  che non va ad ingrassare il nostro piccolo io  ma ha come sua caratteristica il rimando di gloria e di gratitudine verso il Padre celeste. 

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Questo modo di vivere del cristiano va al di là dunque del suo sentirsi solo partecipe alla vita di questo mondo perché ha la sua radice nell’essere stesso di luce del Signore Gesù. E così decisioni che uno non prenderebbe mai solo guardando al suo sentirsi misero e davvero mancante di tutto al paragone del vasto mondo  e della saggezza esistente per ogni dove nella storia presente e passata dell’umanità, poi,  grazie a questa appartenenza di luce impiantata nel cuore di ogni uomo dal Padre che ama il Figlio nel loro Santo Spirito, si vede messo sopra ad un lucerniere dove le cose passate, quelle viste con l’occhio della carenza e del lamento, non possono esistere più. 

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Gesù dichiarando che noi siamo la luce del mondo ci invita a prenderne atto e ad uscire da una grettezza che non ha più ragione d’esistere.  Ci invita pure a considerare l’altra faccia della medaglia e cioè quella in cui vogliamo permanere nella comoda nicchia della nostra pigrizia crepuscolare e ci avverte che la rinuncia al nostro viverci nella luce ha delle conseguenze davvero catastrofiche. Alla fine di tutto questo nostro metterci di fronte alle parole del Signore dobbiamo scegliere da che parte stare e se accettiamo l’aiuto divino non ci resta che prendere la nostra lucerna e metterla sul lucerniere della nostra vita perché risplenda a gloria di Dio. Dal punto di umano ci sentiremo sicuri perchè sentiremo d'essere amati e disposti grazie  al timore di Dio a non trasformare questa sicurezza in presunzione. 


Comunità del Monte Tabor

martedì 23 maggio 2017

ASCENSIONE
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Lc 24, 36-53

Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto».Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse.Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

L’ultimo atto di Gesù su questa terra è quello di lasciarla per sparire nel cielo come ad indicarci che la nostra destinazione non è solo il marcire nella tomba ma un essere elevati ad un’altra dimensione quella del suo regno celeste che aveva promesso di instaurare. Un regno dove finalmente si può essere giusti senza essere invidiati e messi a morte. A Gesù essere puro e celeste è proprio toccata questa sorte e cioè di non essere riconosciuto sincero da parte delle potenze nere di questo mondo. Con la suaascensione si conclude il ciclo iniziato con Abramo e proseguito da Mosè e dai profeti. 

  
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Un ciclo tanto lungo che ci si potrebbe chiedere come mai il Signore Gesù non sia venuto prima. Sappiamo però che egli è venuto nella maturità dei tempi ma dobbiamo chiederci il senso di queste parole. Una delle interpretazioni possibili è che Dio rispettando la libertà dell’uomo si è guardato bene di intervenire prima perché ha voluto che fosse chiaro per ogni verso che l’uomo da solo, e cioè senza l’aiuto divino,  non era capace di uscire fuori dalla sua miseria.  E perché gli uomini se ne rendessero conto ha lasciato che il tempo scorresse ed essi mettessero in campo tutto ciò che era in loro potere: i risultati li vediamo dalla storia del popolo d’Israele (il quale non è riuscito ad uscire dalla via del sangue come del resto capita anche a noi oggi)che nonostante tutti gli aiuti inviati dal cielo ha partorito alla fine quegli esseri meschini che hanno messo a morte Gesù. 


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Il Padre dunque amando gli uomini costituiti in libertà dalla sua divina intenzione li ha amati ancora inviando Gesù perché quell’impronta divina posta in ciascun uomo avesse la forza di riprendere vita. Gesù che sale al cielo non abbandona i suoi ma lascia loro un aiuto e cioè lo Spirito consolatore per accompagnarli nelle vicende di tutti i giorni. Notiamo come dopo la resurrezione Gesù rimane 40 giorni su questa terra facendosi vedere e toccare dai suoi e poi, dopo la sua assunzione, e cioè dopo dieci giorni, invia lo Spirito Santo. 

La nostra mentalità magica non ci fa capire questa distensione nel tempo e cioè i 50 giorni in cui è rimasto ancora sulla terra: noi avremmo unificato tutto e con una bella cerimonia. 

Ormai siamo diventati così umanamente ridicoli che viviamo secondo le indicazioni filmiche. La nostra vita invece è tremendamente reale e come allocchi ce ne accorgiamo solo quando le cose non vanno come noi lo vorremmo. E così finchè le cose vanno bene il velo dorato della vita sembra coprire tutto e cioè tutto quello che noi non vorremmo mai vedere. Noi infatti non vogliamo farci normalmente delle domande che ci rovinino la bella gioia del nostro passo allegro quando la vita ci si squaderna avanti come fosse in nostro potere. 

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In questa situazione il tempo passa veloce ma la vita  è fatta anche di tante altre situazioni dolorose in cui il tempo sembra non passare mai. Gesù dosando la ricezione degli avvenimenti nel tempo media tra le due posizioni estreme del tempo veloce e di quello che non passa mai ridandoci il vero tempo umano che per essere fertile deve essere interiorizzato. Ecco il perché delle molteplici apparizioni che servono a modellare una vera consapevolezza  a fronte di quell’umana diversità di ricezione che ha proprio bisogno del tempo giusto, non quello di una sola apparizione, che avrebbe prestato il fianco ad essere interpretato come una illusione collettiva. Abbiamo preso spunto da questi avvenimenti post-resurrezione per gettare uno sguardo su come noi viviamo il tempo e non vogliamo soffermarci sull’altra sponda, e cioè del tempo che non passa mai, ma avendone solo accennato ognuno può rivedere come recepisce il tempo per dargli una misura  libera dal rimanerne schiavi. 

Michele Sebregondio

mercoledì 19 aprile 2017

OTTAVA DI PASQUA  -  GIOVEDÌ

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Lc 24, 35-48

In quel tempo, i discepoli 
[di Emmaus] riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». 

Dobbiamo prendere atto contro tutte le istanze della nostra intelligenza che Gesù è venuto su questa terra come figlio diletto del Padre sapendo che sarebbe stato ucciso per la mano violenta degli uomini. Perché questa verità tante volte annunciata da Gesù nei vangeli ha tardato ad entrare nella mia testa di credente anche dopo duemila anni di storia in cui essa è stata predicata in tutte le salse? Anche i discepoli non ne volevano sapere di un loro maestro che profetava loro la sua morte. Le motivazioni per me sono diverse in quanto il loro quadro storico è diverso dal mio ed io non aspetto alcuna liberazione politica in nome di Gesù. 

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Ed allora come spiegare questa ritrosia? Forse perché pensando alla mia vita non vorrei che fosse dall’inizio indirizzata verso una morte certa a causa dei miei simili? Forse, ma a ben pensarci le cose si complicano se si vuole riferirle a Gesù figlio di Dio quasi che egli venendo su questa terra non aveva altra chance che farsi uccidere. E’ mai possibile che le cose dovevano per forza andare così? Gesù stesso ci dice che non era possibile fare altrimenti e che l’ambiente umano era così degradato e nelle mani della potenza del diavolo ( per chi non crede al diavolo attestiamoci solo sull'orrendo spettacolo dei conflitti odierni) che non era possibile un’altra via. 

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Questo mistero è grande ma in qualche modo possiamo gettarvi luce se ci togliamo dalla testa tutto il magico che vi alberga. Quando pensiamo a Dio ed al suo mondo diventiamo faciloni nell’attribuire a Dio tutti i poteri possibili ed è dunque naturale lamentarci o anche odiarlo se non se ne serve. La nostra idea, non confessata ma reale, potrebbe essere quella di porlo a capo delle milizie celesti per distruggere il male in modo che noi potessimo vivere in pace. Pensare così per noi significa mettere fuori dal mondo umano il male tanto che per Dio sconfiggerlo  sarebbe davvero una bazzecola. Solo che il male noi uomini ce l’abbiamo dentro ed allora cosa dovrebbe fare Dio per annientarlo farci fuori tutti quanti? 

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Se vogliamo stare, sia Dio che noi, sul piano della realtà e non della fantasia occorre che si crei una zona di rispetto che permetta alla parti d’intervenire conservando  ciascuno la propria libertà di volere e quindi di agire tenendo fermo il principio fondatore della propria differenza. E cioè : Dio per amore vuole che noi viviamo una vita priva di quel male che ciascuno di noi odia con tutto il cuore quando ne ha capito il sapore amarissimo e l’uomo vuole convincersi da sé senza essere costretto a scegliere a priori da che parte stare : detto in altre parole vuole essere libero di pensarla secondo i suoi convincimenti ma nello stesso tempo aperto a farsi interrogare e convincere da Dio.

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Che spazio può  avere Dio in questa lotta di vita e di morte? Sì di morte anche per Dio perché in caso di sconfitta  non potrà più amare una persona come vorrebbe. Che spazio può avere? Egli ha scelto la via della non sopraffazione e dunque venendo in questo mondo, come ogni povero sempre di questo mondo sa,  era sicuro che gli uomini non lo avrebbero accettato, ma sapeva pure che un’altra parte di uomini, considerando lo splendore di bene e di santità della sua vita, avrebbero visto in Lui la risposta di Dio Padre per tirare  fuori la nostra umanità dal baratro in cui si era cacciata. 

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Ora per concludere la costrizione del dover morire per salvarci non è frutto dell’aver voluto pagare al suo Padre celeste un tributo di sangue per i nostri peccati dal momento che il Padre non è un moloch che vuole sacrifici per diventare più buono verso di noi, ma è frutto di una sua libera scelta d’amore per farci vedere nella sua carne come sia possibile una vita diversa legata al suo regno e non a quello del diavolo o comunque, se non lo si vuol chiamare così , a tutto ciò che genera divisione e morte. Ecco perché era nella necessità delle cose che fosse ucciso perché il fondo nero e disgregatrice di una parte dell’umanità voleva mantenere ad ogni costa questo suo potere. E se leggiamo i vangeli sotto questo aspetto  abbiamo una prova inconfutabile che le cose sono andate proprio così.


Michele Sebregondio

martedì 28 febbraio 2017

MEDITAZIONE DEL GRUPPO DI MEDITAZIONE MONTE TABOR

IN ABBAZIA DI CHIARAVALLE  DEL LUNEDI’  20 - 1 – 2017

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Lc 10, 25-37

Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forzae con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai».Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese:«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso».



Gesù alla domanda del dottore della legge su come meritare la vita eterna gli chiede di rispondere lui stesso e questi cita la Legge: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». Notiamo che l'amore per Dio non può essere solo mentale ma deve coinvolgere anche il corpo e ciò viene fuori dalla parola 'forza' che implica la volontà e la tensione fisica di tutte le parte dell' organismo umano. Vi sono alcuni momenti in cui la preghiera deve diventare una sola cosa con il nostro essere fisico che è fatto di carne, di ossa, di organi, di muscoli, tendini e' terminazioni nervose.


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Pregare anche con il corpo permette di chiudere il cerchio dell' orizzonte della nostra preghiera perché lo completa con tutto ciò che è umano. La spiritualità del Monte Tabor porta avanti una preghiera che si situa nella tradizione di coinvolgere sia il cuore, che la mente ed il corpo perché partecipino a rendere gloria a Dio. Dopo aver dato la sua risposta il dottore della legge chiede chi sia il prossimo e Gesù gli presenta la parabola del buon samaritano. Cosa possiamo ancora cavarne da questa parabola così conosciuta e praticamente quasi spremuta in ogni senso quanto al suo significato ? Possiamo applicarla alla nostra situazione storica dove i pestati sono i migranti che rischiano di non trovare alcun buon samaritano europeo che li accolga e dia loro la possibilità di un'esistenza decorosa .

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Chi li osteggia senza portare avanti una politica degna d'essere umana di sicuro non si potrà mai meritare la vita eterna. Per quanto riguarda ancora un' allargamento della figura del 'prossimo' possiamo estenderla alle 'appartenenze' per interrogarci se il nostro prossimo sia solo quello legato alla propria appartenenza: il cristiano per il suo prossimo cristiano, il politico per quelli solo della sua cerchia e così via. Soprattutto noi cristiani siamo chiamati a guardare oltre perché questo è il senso della venuta del nostro signore Gesù Cristo su questa terra e cioè solo includendo chi in apparenza ci sembra lontano potremo anche noi meritarci la vita eterna. 

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Mi  pare di capire che questo sia il messaggio che stia portando avanti il nostro caro papa Francesco. Dobbiamo quindi interrogarci se la nostra azione di Chiesa sia solo rivolta a portare avanti le cose cristiane o se ci si debba anche interessare dell'umano in una storia comune di cui alla fine ci verrà chiesto conto. Ed in modo particolare se sia giusto che la chiesa locale, vivendo in un determinato un territorio, non debba in qualche modo prendersene carico secondo la logica di un bene comune che vale per tutti cristiani e non.



Michele Sebregondio