sabato 19 dicembre 2009

IL PIANO DI DIO NON E' QUELLO DEGLI UOMINI



Pensiero prima della meditazione

Sul Monte Tabor si sente una voce dire : ‘Ascoltatelo’ e cosi’ anche noi che abbiamo sposato questa spiritualità legata al Tabor vogliamo ascoltare cosa ha da dirci Gesù nella meditazione della sua Parola. Per far questo dobbiamo mettere da parte i nostri significati per far sorgere quelli che provenienti da una nostra relazione con Lui.

Mc 12

13Gli mandarono però alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso. 14E venuti, quelli gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. E' lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda». 16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». E rimasero ammirati di lui.


Per gli ebrei avere come re uno straniero, in questo caso Cesare, non era accettabile e quindi la domanda-provocazione di alcuni farisei ed erodiani era volta a mettere in contraddizione Gesù perché se avesse risposto che era giusto dare il tributo allora sarebbe stato accusato di collaborazionismo. Il popolo d’Israele infatti poteva obbedire solo ad un legittimo rappresentante di Yahweh suo Dio. La risposta di Gesù non è solo da collegare ad un artificio retorico, ma segna uno spartiacque importante per tutta l’umanità. Anzitutto egli fa capire loro che chi porta avanti la via di Dio non è legittimato tout court a cambiare le carte sul piano dei rapporti di forza che si stabiliscono tra gli uomini. Cosa che sarebbe successo se avesse dichiarato che non era lecito dare il tributo a Cesare. Il piano di Dio infatti può prevedere cose che la razionalità umana non accetterebbe mai. Al tempo dell’esilio in Babilonia ,ad es., il profeta Geremia consigliava da parte del Signore di costruire case, di piantare orti, di prendere mogli ecc. mentre c’era chi profetizzava, sbagliando, che l’esilio sarebbe finito presto. Si poteva quindi essere buoni israeliti anche in un paese straniero sotto il dominio di Nabuccodonosor. E nello stesso modo anche al tempo di Gesù la via di Dio non passava in quel momento per la liberazione dal giogo dei romani. Gesù quindi prendendo in mano la moneta e chiedendo ai suoi interlocutori di riconoscerne l’immagine opera una divisione tra il potere di questo mondo e quello di Dio. E ciò lo fa non per legittimare il potere di Cesare ma solo dichiarando che quel tipo di potere apparteneva a chi se l’era preso e lo imponeva agli altri. Oggi questa riflessione ci aiuta a segnare dei confini netti tra la sfera religiosa e quella politica nel senso che nessuno può farsi interprete del volere di Dio imponendo agli altri una linea politica da seguire come vediamo fare nei fondamentalismi. Il piano di Dio quindi non coincide con quello degli uomini anche se gli uomini vi si possono avvicinare ma soprattutto non esiste una volontà di Dio che legittimi ad usare violenza contro altri uomini. Un'altra cosa su cui riflettere è l’atteggiamento dei suoi oppositori che volevano ‘coglierlo in fallo nel discorso’. Qui troviamo qualcosa che ci tocca più da vicino perché anche a noi capita di fare le pulci al nostro prossimo più che ascoltarlo. Gesù però non solo li ascolta, mentre avrebbe potuto benissimo non prestarsi al loro gioco sporco, ma con la sua sapienza riesce a portarli su un piano diverso tanto che poi essi stessi lo ammirano. E per farli uscire dalla loro ossessione, da perfetto comunicatore e trasformatore di vissuti, li attiva facendogli muovere alla ricerca del denaro.

sabato 12 dicembre 2009

PENSIERO PRIMA DELLA MEDITAZIONE

L'occasione di aver assistito alla professione perpetua di un'amica all'interno di una Famiglia religiosa è stata lo spunto per constatare come anche oggi esistano persone che offrono per intero la propria vita al Signore e non solo per un periodo limitato ma per tutta la vita. Ciò ci motiva nella nostra strada davanti al Maestro per quel poco che possiamo offrirgli in questa piccola avventura legata alla meditazione della sua Parola.


Mc 11

27Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: 28«Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farlo?». 29Ma Gesù disse loro: «Vi farò anch'io una domanda e, se mi risponderete, vi dirò con quale potere lo faccio. 30Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». 31Ed essi discutevano tra sé dicendo: «Se rispondiamo "dal cielo", dirà: Perché allora non gli avete creduto? 32Diciamo dunque "dagli uomini"?». Però temevano la folla, perché tutti consideravano Giovanni come un vero profeta. 33Allora diedero a Gesù questa risposta: «Non sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».



A Gesù viene chiesto di rendere conto della sua autorità ma non perchè i suoi interlocutori vogliano aprirsi alla verità ma per sminuirlo agli occhi dei presenti. Anche a noi capita qualcosa di simile quando nonostante il nostro modo sincero di operare subiamo delle critiche feroci. Il più delle volte, per difenderci dall'ingiustizia che ci lacera il cuore, passiamo all'attacco in una lotta che alla fine ci sfianca. Cosa fa invece il Maestro Gesù? Anzitutto invece di affermare subito la sua ragione si rivolge ai suoi interlocutori ponendo una domanda, e non una domanda qualsiasi, ma molto pertinente perché è interna ad un sapere e ad una esperienza comune. Egli quindi agendo cosi’ è come se mettesse tra se stesso e gli altri non un qualcosa di definitivo, ma una zona in cui ancora si può ancora incontrarsi. Ed ancora, e sempre in relazione a ciò che si può sentire giusto e vero, capita che alcune volte si è cosi’ certi della propria verità che quando gli altri la mettono in discussione è come se attaccassero la nostra stessa persona. Gesù invece, pur vivendo fino in fondo la situazione, ci offre una testimonianza di disincanto il cui riferimento è cosi’ ampio che include anche il terzo attore e cioè la gente che era presente. Con le sue parole ci fa contemplare la verità offrendola ai suoi interlocutori. Nello stesso modo il nostro rapporto con la verità non può essere di possesso, come se fosse solo nostra, essa è sempre una confluenza di apporti a cui noi possiamo solo dare testimonianza ed è a questo livello che si guadagna quel modo sapiente di articolare delle risposte che non affondino in una difesa-attacco che offende la stessa verità. Gesù quindi ci insegna a dialogare in una forma sapiente. In un altro approccio al testo Gesù si permette di non rispondere alla domanda degli interlocutori perché, come dice papa Ratzinger , “ la fede non è un sistema di pensiero” e cioè non è un sistema dialettico di confronto con la sua tesi, antitesi, sintesi. L’amore infatti non si può che riconoscere e non ha niente a che fare con questi schemi dialettici di confronto. Ed ecco perché alla fine Gesù dà una risposta cosi’ dura. Prima però Gesù con la sua mitezza e la sua compassione usa la ragione ed il ragionamento per dar loro una possibilità di scelta. Questa possibilità invece viene fraintesa dai suoi avversari ed essi si presentano come persone che non scelgono o che non vogliono scegliere e quindi non si aprono alla verità.

sabato 5 dicembre 2009

COME PREGARE PER OTTENERE




Il nostro incontro è iniziato con l’ascolto di musiche per aiutarci ad entrare in una dimensione diversa da quella delle preoccupazioni mondane. Sempre avendo la musica come sottofondo abbiamo letto questo testo di Don Tonino Lo Bello




Dammi un'ala di riserva

Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita. Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche Tu abbia un’ala soltanto. L’altra la tieni nascosta: forse per farmi capire che Tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con Te. Perché vivere non è “trascinare la vita”, non è “strappare la vita”, non è “rosicchiare la vita”. Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento. Vivere è assaporare l’avventura della libertà. Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita. Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero. Sono ali spezzate. Sono voli che avevi progettato di fare e ti sono stai impediti. Viaggi annullati per sempre. Sogni stroncati sull’alba.

Ma ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Per i voli che non ho saputo incoraggiare. Per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile, con l’ala penzolante, il fratello infelice che avevi destinato a navigare nel cielo. E Tu l’hai atteso invano, per crociere che non si faranno più.Aiutami ora a planare, Signore. A dire, terra terra, che l’aborto è un oltraggio grave alla tua fantasia. E’ un crimine contro il tuo genio. E’ un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano. E’ l’antigenesi più delittuosa. E’ la “decreazione” più desolante.

Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce. E che antipasqua non è solo l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata. E’ ogni rifiuto. Il rifiuto della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari. Antipasqua è lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita, dove “si tira a campare”, dove si vegeta solo.

Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine. E si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te. Soprattutto per questo fratello sfortunato dammi, o Signore, un’ala di riserva.


Pensiero sulla ‘Parola’

Per gli antichi la terra si presentava piatta ed avvolta dalle acque e cosi’ Dio nel secondo giorno, dopo aver creato la luce, divide l’ammasso delle acque creando il firmamento . Nel terzo giorno prosegue la sua opera radunando le acque in solo punto per far emergere la terra. Dio fa tutto ciò con un ordine espresso attraverso la parola. Dio dunque mette ordine nel caos attraverso la potenza della sua parola. Una potenza però che si rivela mite, non violenta. Nello stesso modo quando ci troviamo di fronte ad una situazione senza spiraglio, confusa e violenta che potrebbe metterci paura possiamo e dobbiamo uscirne grazie all’uso potente, creativo e mite della parola. La Parola di Dio poi, come ci insegna il vangelo di Marco su cui abbiamo riflettuto oggi, ha il potere di creare sempre nuovi spazi per un futuro diverso.


Mt 11

20La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. 21Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato». 22Gesù allora disse loro: «Abbiate fede in Dio! 23In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. 24Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. 25Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati». 26.

Gesù da vero psicologo entra nelle pieghe del nostro pregare e ci mette di fronte al modo come preghiamo. Nel momento infatti in cui facciamo le nostre richieste in quello stesso momento siamo i primi a non credere d’essere esauditi. Per accorgersene bisogna quasi cogliersi in fallo per vedere come quasi sempre ci comportiamo da miscredenti. Per noi è importante solo chiedere quasi che cosi’ facendo abbiamo assolto un compito di fronte a noi stessi e al mondo. Non ci mettiamo mai nella prospettiva di un pregare che sa di aver già ottenuto. E dal momento che assolviamo un compito poi passiamo ad altro senza dimorare nella visione del vedere la nostra preghiera già accolta. Entrare però in questa prospettiva significa anche responsabilizzarci su cosa chiedere perché non è un semplice lanciare la richiesta e lavarsene le mani. Inoltre il Signore ci assicura che se si prega alla sua maniera si sprigionerà una tale forza da mettere in moto le fibre più intime dell’universo. Gesù con l’atto di maledire il fico, e cioè utilizzando un atto di forza che potrebbe anche spaventare, ci fa capire con quale determinazione ci si deve rivolgere al Padre.

giovedì 26 novembre 2009

SE NON SI PREGA SI DIVENTA ARIDI

Pensiero iniziale relativo all’Ispirazione della Comunità del Monte Tabor

‘1In principio Dio creò il cielo e la terra. 2Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. 3Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.” : ecco proprio all’inizio della Bibbia Dio interviene con la sua Parola ed è con la sua Parola che viene creata la luce e la parola è prima della luce quasi ad indicare che la stessa parola è luce, significato, possibilità per le cose di entrare in una visibilità toccante. La Parola è una grande forza da non sprecare perché può creare mondi.


Marco 11

12La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. 13E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. 14E gli disse: «Nessuno possamai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l'udirono. 15Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 16e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. 17Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti?Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!». 18L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. 19Quando venne la sera uscirono dalla città.

Il Ricciotti, se non ricordo male, nella sua ‘Vita di Gesù’ afferma che in Palestina si trovano sempre sull’albero di fico dei frutti anche fuori stagione confermando così il comportamento di Gesù che sperava di trovarvi qualcosa da mangiare. Ma qui il fico è l’occasione per il Signore di farci capire che in qualsiasi momento della nostra vita dobbiamo essere simili ad un albero che ha sempre dei frutti. I frutti sono le opere di bene e se questi frutti non esistono non è perché non esistono frutti ma perché sono diventati maligni. E Gesù con la maledizione del fico, così drastica da farci paura, ci dice che non vi sono vie di mezzo: “Chi non raccoglie con me disperde”.



Ed allora è bene chiedersi se nel nostro albero personale esistono dei frutti buoni e cercare di rispondere a questa domanda potrebbe mantenerci in uno stato di sana inquietudine. Ci ha colpito comunque la durezza di Gesù e allora è venuto in mente il passo di Giovanni dove Gesù paragona il Padre al vignaiolo che pota i rami secchi. Quando sono secchi sono definitivamente potati ma fino a che c’è linfa no. Quando Gesù dice che il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato è perché quel peccato ha plasmato così profondamente chi lo commette che nel momento in cui lo compie e vi persiste vi rimane identificato. La condanna così forte di Gesù forse è da collegare alla scena seguente ed allora è come se dicesse: o il tempio è collegato a me o non può esistere. A conferma di ciò si ricordava che nel 70 d.C. il Tempio fu distrutto dai romani come pure al momento della morte di Gesù il velo del Tempo fu squarciato.
Ed ancora cosa può dirci l’azione di Gesù che cerca di riportare il Tempio alla sua funzione di casa di preghiera? La sua azione così dura deve indurci a chiederci se durante la giornata diamo spazio vero alla preghiera o se ci facciamo trascinare dagli impegni o dalle preoccupazioni del mondo. Durante la settimana abbiamo la domenica per vivere con più intensità il momento del distacco dai traffici quotidiani per guardare alla settimana trascorsa e vedervi un senso più profondo e così dobbiamo fare nel corso della giornata distaccarci dalla quotidianità per guadagnare un contatto significativo con il Signore. E se riusciamo ad esserci nella preghiera allora quel momento diventerà aperto anche agli altri, per accoglierli all’interno di uno sguardo che è assieme il nostro e quello del Signore.
Il Cardinale Martini ha scritto un libro sulla preghiera in cui egli afferma che non dobbiamo dedicarle degli spazi interstiziali perché in questo modo non potremo ricevere la sua consolazione. Questa è in relazione al tempo che vi si dedica e il Cardinale portava la sua esperienza di persona anziana in cui è facile vivere esperienze disgregate ed allora c’è il pericolo di fare esperienze brevi, ma se si prende questa china è sicuro che i tempi della preghiera diminuiranno sempre di più e la consolazione non arriverà. Se non preghiamo allora c’è qualcun altro pronto a rubare la nostra interiorità.

venerdì 20 novembre 2009

A CHI SI RIVOLGE

COMUNITA'

DEL MONTE

TABOR

La Comunità del Monte Tabor nasce per ascoltare la Parola di Dio presente in tutta la Bibbia ed in particolare quella di Gesù . Dio ha scelto di creare il mondo e di a vere un rapporto con l'umanità attraverso la parola e così chi fa parte della nostra Comunità è invitato ad eleggerla come luogo privilegiato per avere relazioni buone e significative con tutti. Dal momento poi che le parole possono essere portatrici di morte, di illusioni e di menzogne sarà cura della Comunità mettere al centro della sua vita una parola vera, calda e creatrice di nuovi e fecondi rapporti. E' umanamente impossibile realizzare un compito così arduo visto di che pasta siamo fatti ma la nostra fiducia è riposta nello Spirito Santo che è la persona divina destinata ad accompagnarci nella nostra esistenza storica. La pratica dei sacramenti, quale segno visibile della salvezza donataci dal Figlio di Dio e dell’appartenenza al suo popolo, sarà affiancata da un tempo dedicato alla meditazione come strumento per un ascolto attento e fecondo della Parola.

QUALE ASCOLTO


Durante la meditazione noi ci disponiamo ad accogliere la Parola di Dio lasciando cadere ogni preoccupazione circa la nostra capacità di comprenderla. Noi infatti confidiamo nel suo Autore e sul fatto che se ha voluto rivolgerci la sua Parola è perchè risuoni dentro di noi piena di significato. Inoltre grazie a ciò che della Parola avremo capito o alle domande o ai dubbi che essa avrà suscitato in noi potremo poi procedere ad approfondimenti di ampio respiro che la collochino nel contesto di tutta la Bibbia e nella comprensione che oggi ne ha la Chiesa. Vogliamo insomma che la Parola raggiunga la nostra persona come se fosse la prima volta proprio perché essa, pur essendo stata accolta e vissuta dall’umanità passata, deve essere di nuovo ascoltata da quella presente perché possa prendere corpo oggi nella nostra vita e nella società di cui facciamo parte.

A CHI SI RIVOLGE L’INVITO ALLA MEDITAZIONE

Oggi viviamo una situazione in cui è di primaria importanza l’accoglienza delle molteplici appartenenze e diversità. Noi cristiani ci apprestiamo a farlo accogliendo nei nostri incontri di meditazione chi, pur non essendo cristiano, è in qualche modo attratto da Gesù. Noi non chiediamo loro di appartenere alla Chiesa, pur facendone parte, ma di unirsi a noi nell’ascolto del Maestro i cui insegnamenti e la cui figura non possono rimanere privilegio solo dei cristiani essendo essi a buon diritto Patrimonio dell’umanità.

VITA COMUNITARIA

Da questo ascolto potranno nascere iniziative di ogni genere con ricadute sia per la comunità ecclesiale che per il più vasto contesto umano che abita il creato. In ogni cosa però ‘La Comunità’ cercherà di mantenere una unità ‘leggera’ che permetta ulteriori momenti di crescita e nello stesso tempo ‘ordinata’ che offra a tutti la possibilità di dare il proprio contributo. La Comunità consapevole dei suoi limiti e delle sue sempre scarse capacità d’ascolto eleverà preghiere per rispondere con generosità alla chiamata del Signore.

L’ESPERIENZA DEL TABOR E LA NOSTRA

· L’episodio dell’ascesa al monte Tabor di Gesù e dei suoi discepoli più intimi può accompagnarci nella comprensione del nostro itinerario meditativo. Anche noi ci troviamo in cammino tra tante attività e luoghi e ci sentiamo chiamati da Gesù a contemplare la storia della salvezza durante il tempo dedicato alla meditazione.

· Sul Tabor Gesù viene presentato come Figlio prediletto. La voce che parla dalla nube si rivela essere quella del Padre mentre chiede agli uomini, rappresentati da Pietro, Giacomo e Giovanni, di ascoltare il Figlio:“Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo.”. Ed è proprio questo che vogliamo fare durante la nostra meditazione e cioè ascoltare Gesù come il vero protagonista e la vera chiave interpretativa della storia della salvezza e come persona che avendo vissuto in pienezza sia l’umanità che la divinità può insegnarci la via per essere come lui.

· La discesa in profondità, propria dello stato meditativo, ci aiuterà a fare un salto nel tempo proprio come fece Gesù quando nella sua trasfigurazione fece assistere i discepoli al suo colloquio con uomini del passato.

· I discepoli vedono parlare Gesù con due personaggi importanti della vita di Israele: Mosè ed Elia. Sia Mosè che Elia ci introducono nel nostro cammino meditativo. Mosè (Es 3)viene chiamato dalla vita di tutti giorni (pascolava il gregge) verso qualcosa di meraviglioso: un roveto che bruciando non si consuma ( il punto d’attenzione dove nel profondo del nostro essere Dio parla), poi viene invitato a togliersi le scarpe per la santità del luogo ( in meditazione ci si libera da tutti gli impedimenti che si oppongono all’incontro con il Signore) e invitato a dialogare con Dio ( per noi quindi non solo un monologo ma un dialogo, diverso da quello che abbiamo con gli uomini ma la cui realtà, consistenza e qualità va scoperta nelle singole relazioni con le Persone trinitarie). Nella relazione a tu per tu Dio promette a Mosè la liberazione del suo popolo e gliene dà il mandato ( la nostra meditazione non è solo un atto privato ma è anche la disponibilità a ricevere un dono che non riguarda solo il singolo ma anche il contesto in cui è inserito). L’altro personaggio che parla con Gesù è Elia. Questi quando fugge da Acab (1Re,19) salì sul monte di Dio: l’Oreb. Entrato in una caverna vi passò la notte ( nella meditazione ci ritiriamo dentro noi stessi per oscurare tutte le distrazioni) ma poi il Signore lo invita ad uscire e a fermarsi sul monte alla sua presenza (alla fine del rilassamento anche noi ci poniamo alla presenza del Signore). Elia però non esce in presenza del “vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, perchè il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.” (1Re,19,11-13)(allo stesso modo per noi lo stare alla presenza del Signore non è legata all’attesa di un qualcosa di spettacolare o a illuminazioni particolari; per noi è importante metterci nella stessa disposizione d’animo di Elia che seppe attendere la Sua vera manifestazione). Alla fine anche Elia riceve un mandato da parte del Signore (può succedere anche a noi di ricevere delle ispirazioni che riguardano la nostra vita e quella degli altri).

· I discepoli sul monte Tabor vivono quindi un’esperienza estatica ma nello stesso tempo in relazione alla storia della salvezza. Non vengono proiettati in qualcosa di indefinito e neppure in una saturazione degli affetti senza relazione con la vita. I discepoli avrebbero voluto continuare a stare sul Tabor ma Gesù che li ha fatti assistere alla sua trasfigurazione li ricollega al quotidiano facendo loro intendere che tra i due mondi non vi è separazione ma continuità.

· La meditazione allora diventa un’occasione per entrare in un intimo rapporto con le persone divine e in una economia di salvezza dove Dio è in relazione con la natura, le persone ed i popoli per liberarli da ogni schiavitù ed in particolare da tutte le divisioni che non permettono loro di amare in pienezza Dio e i fratelli. Mosè ed Elia sono per noi degli esempi riusciti di questa libera, e per nulla disumanizzante, esposizione alla chiamata divina.

· In questa chiave Gesù non è un guru che ci conduce all’illuminazione, anche se rimane libero di concederci esperienze elevate come avvenne per i discepoli sul Tabor, ma uno che ci sta accanto assicurandoci la vittoria sulle forze disgregatrici del male anche quando sembra che tutto ci stia crollando addosso.

· L’insegnamento che emerge dal Tabor ci conferma che la meditazione non deve essere percepita come lo stato più vero in cui vorremmo sempre dimorare ma come una pausa significativa e buona nel cammino comune per disporci ad entrare nel flusso della misteriosa vita divina (passato, presente e futuro) e per essere aiutati ad esercitare, in modo responsabile e liberante, la nostra libertà nella vita quotidiana.

· Il tempo che vi dedichiamo è il segno concreto della nostra attiva partecipazione all’ascolto. Durante questo tempo, certi della sua presenza e della parola che ci viene rivolta, saremo esposti a diversi stati d’animo (aridità, timore, gioia ecc.), ma non saremo mai toccati dalla disperazione. Meditare quindi è un’avventura la cui certezza è quella di vivere con il Signore una vera esperienza d’amore.

· La nostra meditazione oltre al rilassamento iniziale e all’attenzione al respiro che veicola la preghiera non ricorre a pratiche per raffinare le energie corporee volte al raggiungimento di stati elevati di coscienza. Non vogliamo infatti distoglierci dal vivere quella tensione che unisce il Signore che è il capo alle sue membra e cioè a quell’umanità che spera lotta ed ama per far parte del suo Regno.

· La discesa dal Tabor, grazie al richiamo di Gesù, è un invito a continuare nella quotidianità ciò che si è scoperto nell’ascesa e nella esperienza della vetta. Inoltre dall’esperienza che Gesù fa fare ai discepoli dobbiamo dedurre che non siamo chiamati ad una vita piatta e senza mistero, ma a possibili visitazioni da parte del Signore che nella trama del quotidiano può chiamarci a vivere cose straordinarie.

· Pur meditando in silenzio noi non meditiamo soli perché accettando di farla insieme ci inseriamo nella stessa vita comunitaria che fu quella di Gesù con i suoi discepoli e nel vivo tessuto della Chiesa e di quanti sulla terra pregano Dio con tutto il cuore. La nostra meditazione allora non è fine a se stessa ma è destinata a vivificare i molteplici contesti comunitari nei quali siamo inseriti. L’esperienza fatta durante la meditazione, a parte particolari momenti difficili e pieni di sofferenza vissuti al cospetto di Dio, ci procurerà pace e gioia e queste saranno il metro che ci aiuterà a capire se siamo come Comunità sulla
strada che il Signore vuole da noi.


PROTETTORI

· In questa nostro cammino è importante imparare da Maria che per il suo ‘sì’ incondizionato alla divina Parola fece dell’ascolto la sua forza nell’accostarsi al suo divino interlocutore. Inoltre avendo vissuto con il suo Gesù una vita itinerante può accompagnare ed aiutare anche noi lungo gli andirivieni della nostra vita quotidiana. Quelli che vogliono affidarsi a Lei allora potranno invocarla così : Maria, madre itinerante, prega per noi.
· Altre due protettrici sono due dottori della Chiesa e cioè Santa Teresa del Bambin Gesù e Santa Teresa d'Avila che rappresentano due modi opposti ma convergenti di accostarsi ai divini misteri.


giovedì 19 novembre 2009

www.montetabor.de
Un pensiero prima della metazione

La nostra piccola Comunità vuole stare in ascolto della Parola di Dio avendo uno sguardo alla parola umana, alla parola tra noi perché sia una parola di pace. Certo questo non è un compito da poco ma la parola divina resterebbe muta se non fossimo vigilanti a che le nostre parole siano vere e nello stesso tempo piene di misericordia.




Marco - Capitolo 11

1Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. 3E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». 4Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. 5E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». 6Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. 7Essi condussero l'asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. 8E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. 9Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: Osanna!Benedetto colui che viene nel nome del Signore!10Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!Osanna nel più alto dei cieli! 11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betània.








Gesù entra a Gerusalemme non come un re glorioso ma in modo mite montando un asino. Quella Gerusalemme che tra poco l’avrebbe ucciso è visitata nella pace dal suo re. E’ un messaggio importante e ci sottolinea, se ce ne fosse ancora bisogno, che il modo di rispondere di Dio non è mai quello della violenza. L’asino ha avuto l’onore assoluto di portare il suo Signore ( il cinereo porta la croce ma nessuno mai si era fatto carico di portare il suo corpo vivo) ed è per questo che non gli oppone resistenza. A sottolineare ciò il vangelo ci ricorda che su di lui non era mai salito nessuno e ciò ci induce pure a pensare che in questa icona di Gesù sull’asino viene prefigurato ciò che sarà alla fine dei tempi dove tra l’uomo e gli animali non vi sarà più opposizione e violenza. L’entrata in Gerusalemme può aiutarci a capire come dobbiamo fare la nostra entrata nei vari contesti umani e cioè come persone che non pretendono onori o accoglienza per il fatto d’esserci ma che portano se stessi nella consapevolezza dei propri limiti cercando però, come ha fatto Gesù, di avere nel cuore qualcosa di grande da offrire. Solo così la gente si fa attirare e cioè se vede qualcosa di buono, di bello e di non prevaricante che intercetta il suo orizzonte di vita. Poi Gesù si reca al tempio e lì deve essersi svolto qualcosa di straziante per lui e cioè un congedo dal comune sentire del popolo ebraico che vedeva nel Tempio il luogo della presenza di Dio. Al suo interno Gesù rivive tutti i momenti che vi aveva vissuto a partire dai racconti di Maria sua madre sulla sua presentazione e poi tutti gli altri momenti di preghiera e di predicazione che lo avevano visto lì. Gesù però attardandosi e guardando tutto non solo attiva i suoi ricordi, ma anche tutti i momenti della storia del popolo ebraico e di tutte le generazioni che avevano fatto di quel luogo il tramite per contattare il Signore Adonai . Andandosene via dal Tempio è come se da lì si fosse ritirato Dio stesso almeno nella sua forma ufficiale.

mercoledì 11 novembre 2009


La nostra piccola Comunità vuole stare in ascolto della Parola di Dio avendo uno sguardo alla parola umana, alla parola tra noi perché sia una parola di pace. Certo questo non è un compito da poco ma la parola divina resterebbe muta se non fossimo vigilanti a che le nostre parole siano vere e nello stesso tempo piene di misericordia.





Il cieco all'uscita di Gerico

46E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
49Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». 50Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». 52E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.


Marco usa sempre delle parole scarne e descrive i fatti. Dietro a Marco c’è Pietro nel senso che è da lui che l’evangelista ha appreso i fatti relativi a Gesù. Il cieco grida forte verso Gesù e a più riprese e ciò rivela un richiesta appassionata. A noi non capita mai di comportarci in questo modo e se lo facciamo è in modo sommesso e silenzioso. Anzi il più delle volte più che chiedere aiuto in qualche modo sotto sotto apettiamo che qualcuno ci chiami o si interessi a noi. Nel grido del cieco possiamo leggervi anche disperazione e nel balzo verso Gesù una trasgressione delle regole. Il suo correre verso Gesù ci ha fatto venire in mente quel bambino che, sovvertendo ogni rituale, andò a gettarsi tra le braccia di Giovanni Paolo Secondo per farsi dare una carezza. E a noi quando capita di fare dei gesti così sconvolgenti? Forse lo facciamo per le cose di questo mondo ma mai per la fede. Gesù chiede al cieco di esprimere la sua richiesta a differenza nostra che molte volte diamo senza che ci venga fatta una domanda. E così ci mettiamo nella situazione onnipotente di interpretare il bisogno dell’altro pensando di risolverglielo senza che abbia detto una sola parola. L’opposizione che il cieco incontra da parte dei presenti è quella che anche noi proviamo quando volendo davvero qualcosa dobbiamo lottare contro chi si oppone. Tuttavia se ciò che ci sta a cuore è davvero grande dobbiamo anche comportarci come il cieco che getta il mantello e corre verso Gesù. Il cieco non era un cieco nato ma aveva perso la vista e trasferendo a noi in modo simbolico questa situazione possiamo dire che anche a noi può capitare di perdere la vista e cioè la capacità di discernere nelle cose della nostra vita . La vista allora la possiamo acquistare grazie a Gesù che può donarci il potere di gustare ancora una volta la luce. Il Signore dà al cieco un dono grande e cioè la capacità di vedere la luce come all’inizio della Genesi Dio creò la luce perché l’uomo nel sesto giorno potesse godere della visione della sua creazione. Senza la luce del Signore noi rimaniamo nelle nostre tenebre.

giovedì 9 luglio 2009

LA MATEMATICA DI GESU'

Marco - Capitolo 8, 1-21

In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione di questa folla, perché gia da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano». Gli risposero i discepoli: «E come si potrebbe sfamarli di pane qui, in un deserto?». E domandò loro: «Quanti pani avete?». Gli dissero: «Sette». Gesù ordinò alla folla di sedersi per terra. Presi allora quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; dopo aver pronunziata la benedizione su di essi, disse di distribuire anche quelli. Così essi mangiarono e si saziarono; e portarono via sette sporte di pezzi avanzati. Erano circa quattromila. E li congedò. Salì poi sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanùta. I farisei domandano un segno dal cielo Allora vennero i farisei e
incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione». E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda. Il lievito dei farisei e di Erode Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora egli li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». E quelli dicevano fra loro: «Non abbiamo pane». Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, 19quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non capite ancora?».

La prova del calcolo. Nella seconda moltiplicazione dei pani vi è un esplicito riferimento allo scetticismo e all'incredulità dei discepoli. Gesù sembra quasi sorpreso del fatto che essi abbiamo così in fretta dimenticato il suo miracolo, e che stiano ancora lì a discutere di quanti pani avrebbero avuto disponibili per il prossimo pasto. “Non vi ricordate” dice loro Gesù“ quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Dodici”. «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non capite ancora?”. Sembra quasi una lezione di aritmetica di un Maestro della terza elementare, un maestro che spiega a fare i calcoli. Dunque, Gesù propone una strana didattica per le nostre teste dure, una didattica di tipo matematico: dovremmo capire l'importanza del 'suo pane' dal resto, considerando cioè 'l'avanzo d'amore' che la Grazia ci lascia, il residuo che opera in noi. Quasi che quell'avanzo fosse il codice-quoziente per risalire al miracolo, proprio come il resto serve per fare la prova di un calcolo e risalire al dividendo. Capita spesso di sertirsi sovrabbondanti e di voler fare del bene o, semplicemente, voler far bene una cosa. Ricordiamoci che questo impulso è come una delle ceste che i discepoli avanzarono dal miracolo dei pani: un residuo che ci dice, in una modalità spirituale, che c'è stato in noi un miracolo, una grazia ricevuta, che forse non ricordiamo.


Ed ancora: Il Pane è la sua Parola. Non possiamo vivere senza la sua Parola e possiamo riceverla solo se doniamo le poche parole che abbiamo.

Nelle situazioni dove ci viene chiesto molto ci trinceriamo spesso dietro la nostra effettiva povertà, ma il Maestro non ci chiede di dare le ricchezze che non abbiamo, ma solo la compassione iniziale perchè al resto penserà lui.

Il nostro atteggiamento davanti all'incredibile modo di vedere ed operare di Gesù è quello di fare i sordi e cioè di non voler comprendere e cosi' rimaniamo preda degli affabulatori e cioè del livito dei farisei. Questi giocano solo su ciò che si vede e cammina verso una morte che non prevede resurrezione.

domenica 26 aprile 2009

L'EMORROISSA




L'Emorroissa

Mc 5,25-34
Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».

  • La donna aveva una perdita di sangue allo stesso modo che noi, sotto un’aspetto diverso, perdiamo il senso profondo della nostra unità quando ci allontaniamo dal Signore.


  • Lontani vorremmo guarire ma lontani non si può guarire.


  • Cerchiamo maestri e perdiamo tempo e soldi.


  • Incontrata la salvezza, anche per i limiti imposti dalla cultura nella quale viviamo, cerchiamo di entrarvi per una via laterale.


  • Entriamo per la porta di servizio mentre il cono di luce già risponde alla nostra volontà di riceverla ed è rispettosa dei nostri tempi per una perfetta guarigione.


  • Sentiamo che una forza nuova ci cambia la vita e ci sembra di toccare le stelle.


  • Però non è finita.


  • Il Signore vuole guardarci in modo diretto e ci cerca.


  • Ormai siamo suoi ma vuole iniziarci al dialogo con lui.


  • Abbiamo paura e tremiamo perché ci portiamo dietro un peso tremendo.


  • Il Signore ci rassicura con lo sguardo.


  • E noi gli diciamo la verità piangendo mentre le lacrime si trasformano in perle di luce.


  • Il Signore ci dà la pace e completa l’opera di guarigione.


  • Il cuore guarito ora poggia sulla fede nell’Amico tanto cercato e finalmente trovato.
Gabriele Patmos

Un commento di Bruno il Maggiore che dà luce e profondità storica al testo:





Il miracolo della guarigione della donna che soffriva di perdite di sangue si sarebbe prestato molto bene a sottolineare la potenza di Gesù. E invece non è su questo che l'evangelista ferma l'attenzione. Per comprendere il suo punto di vista dobbiamo far nostra la meraviglia dei discepoli: "Vedi la folla che ti stringe e domandi: chi mi ha toccato?". Appunto: perche la donna desidera non farsi notare e il Cristo sembra far di tutto per dar pubblicità al suo gesto? La legge dichiarava impura una donna che aveva perdite di sangue, e impuro diventava tutto ciò che essa toccava: ecco perchè la donna tocca la veste di Gesù di nascosto, approfittando della calca, ed ecco perchè si sente tanto colpevole, paurosa e tremante, quando si sente scoperta. Ed è per lo stesso motivo che Gesù dà pubblicita al suo gesto: vuol dichiarare pubblicamente di fronte a tutti che non si sente impuro perchè la donna lo ha toccato, e che le categorie del puro e dell'impuro non lo interessano. Gesù vede la donna nella sua malattia e nella sua fede, non attraverso lo schema culturale (e religioso) del puro e dell'impuro.