[40]Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa
di lui.[41]Ed ecco venne
un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di
Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua,[42]perché aveva un'unica figlia,
di circa dodici anni, che stava per morire. Durante il cammino, le folle gli si
accalcavano attorno.[43]Una
donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a
guarire,[44]gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del
mantello e subito il flusso di sangue si arrestò.[45]Gesù disse: «Chi mi ha
toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe
da ogni parte e ti schiaccia».[46]Ma
Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me».[47]Allora la donna, vedendo
che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi
piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l'aveva toccato, e
come era stata subito guarita.[48]Egli
le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, và in pace!».
In prima istanza colpisce la voce di Gesù che sembra ridare vita
alla ragazza morta solo con la forza
della sua parola: “Fanciulla, alzati!”. Poi ancora colpisce il fatto che Gesù non
recita alcuna formula magica, né ricorre ad amuleti o cose di tal sorta come sogliono fare i
guaritori ma si rivolge direttamente alla fanciulla come se lei fosse viva. Ed
a voler ben entrare nel senso di questo parlare diretto dobbiamo concludere, a
meno di pensare che Gesù fosse in quel momento un folle visionario, che per Lui la ragazza era davvero presente e viva, anche se in un’altra
dimensione. Gesù dunque ci svela che i morti non sono morti davvero come qualcuno
potrebbe pensare, e forse in modo legittimo credendo che quando si muore si
muore e basta ed è inutile consolarsi con le fantasie consolatorie di una vita
dopo la morte. Nell’esecuzione di questo prodigio non ci troviamo di fronte ad un
richiedente che in forza della sua fede ottiene da Gesù un miracolo, no, ma
alla paziente opera di Gesù che nonostante la derisione dei presenti fa rivivere
la figlia di Giairo. Questi era il capo della sinagoga e fa meraviglia vedere
come, pur figlio della grande tradizione dell’Alleanza, non brilla tanto nel credere
in Gesù a differenza del centurione, un pagano, che invece nella medesima
situazione, aveva infatti un servo in fin di vita, ottiene la guarigione tanto
da far dire a Gesù : “"Io vidicoche neanche inIsraelehotrovatounafedecosìgrande!".Tuttavia
Giairo alla fine deve aver creduto in cuor suo che il Maestro potesse davvero
far qualcosa per sua figlia ed a questo arriviamo solo dalle parole di Gesù
quando dice: «Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata». Sì, anche se l’uomo
non ha brillato per una fede forte come quella del centurione, ha ottenuto tuttavia
da Gesù la vita della figlia perché si
è attaccato alle sue parole non avendo altro su cui fare affidamento.
mercoledì 23 novembre 2016
Lc 8, 40 – 48 mercoledì 23 Luglio 2016
Gesù guarisce una donna che perdeva sangue
da 12 anni e che nessuno riusciva a guarire. Ci troviamo davanti ad un caso come
ve ne sono tanti nella vita umana dove non si riesce ad uscirne. Eppure ci si
da fare con ogni mezzo, con ogni medico,
con ogni guaritore ma niente da fare. Gesù dice che la sua fede l’ha salvata ed
in questo modo ci fa capire che prima la
sua volontà di guarire non era accompagnata dalla fede e cioè dal ricevere dall’alto
la guarigione che cercava. Quando la donna cerca di avvicinarsi a Gesù ed a
toccarlo è andata oltre quel suo voler guarire solo con le sue forze. Ha fatto
un passo importante, decisivo ma Gesù l’invita a farne un altro, a non
nascondersi dietro all’anonimato ed a venir fuori con tutta la sua persona di
fronte a chi l’ha guarita. Gesù dunque instaura nel modalità d’essere nel regno
non un esserci tra sconosciuti ma tra persone che si conoscono e fanno
comunità. E di fatti è davanti a tutti che lei si decide di raccontare la verità
sulla sua guarigione. L’intento di Gesù è sempre quello di sottrarci alla
massa, all’accadere delle cose per una pressione senza volto. Ricordiamoci dell’episodio
della moltiplicazione dei pani in cui divide la folla anonima in gruppi di 50 e
cioè in un numero delle persone che si possono guardare in faccia e
riconoscersi. La donna perdeva sangue da 12 anni e così anche noi possiamo
immedesimarci in questa donna quando, magari non perdendo sangue, ma perdendo
energie, occasioni di vita, ci trasciniamo in quella corsa folle in cui crediamo
di poterci dare la salvezza con le nostre stesse mani. Rimaniamo infatti
vittima di un meccanismo innato in cui la prima cosa da fare è brigare per
uscirne e questo potrebbe essere una cosa buona rispetto ad un lasciarsi andare
e non far niente, ma c’è presto un punto di svolta in cui andiamo avanti credendo
davvero che tutto dipenda da noi. Purtroppo quando si percorre questa strada
fino in fondo ci si trova come la donna che perde sangue in una malattia senza
uscita. L’emorroissa, come viene chiamata la donna, per fare quello che ha
fatto deve aver abbandonato ogni speranza di guarire per mano umana ed è così
che Gesù l’ha potuta guarire. La guarigione è sempre frutto di una relazione con
Gesù in cui l’uomo si affida ed apre il suo cuore per essere guarito. Di
sicuro, e senza mettere limiti alla Provvidenza per le guarigioni fisiche, Gesù
guarisce il nostro cuore se glielo affidiamo. Questo è certo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati
e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da
me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.” (Mt
11, 28-30)
lunedì 21 novembre 2016
da : https://davantiallaparola.blogspot.it/
22 NOVEMBRE SANTA CECILIA Vergine e Martire (sec. II-III)
Mt 25, 1-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora».
Vedere in prospettiva la propria vita come un cammino per incontrare lo sposo e festeggiare con Lui è un’immagine non solo bella, ma di quelle che danno una grande gioia.
Detto questo cerchiamo di capire se nei nostri vasi vi è olio sufficiente per illuminare il tempo che manca all’arrivo del Signore di cui non si sa né il giorno, né l’ora. Le possibili interpretazioni sul significato dell’olio sono tante io ne sceglierò una che spero possa aiutarci a vedere se di quest’olio siamo in possesso. Allora possiamo vedere in quelle vergini stolte noi stessi quando ancora non avevamo capito che non basta avere un rapporto con Dio del tipo: ‘Signore vado in chiesa e ti prego’.
Questo modo può andare bene quando la vita non è toccata da grandi prove ma quando le nubi del dolore si addensano su di noi abbiamo bisogno non di una fede bambina, ma di una che ha fatto un percorso di conoscenza con il partner che si dice di amare. Gesù infatti dice alle stolte di non conoscerle e ciò avvalora l’ipotesi che egli vuole una relazione in cui il sapere uno dell’altro è molto importante.
Se per essere a posto bastasse avere un rapporto diretto con Dio non sarebbe stato necessario che Gesù venisse su questa terra. Dobbiamo convincerci che per noi Dio è un muro invalicabile e se qualcosa possiamo sapere di Lui è solo grazie a ciò che con la sua vita di Gesù. A questo punto diventa strategico conoscerla ed amarla perché è grazie a questa conoscenza che il nostro olio ci permetterà al momento opportuno d’essere accolti per gioire assieme a Gesù nel suo regno.
Il nostro olio dunque deve essere una meditazione continua della vita di Gesù. Un impegno che ci permetta attraverso l’assiduità della preghiera e della lettura delle sue parole di ricreare nel laboratorio del nostro spirito un’immagine a tutto tondo del nostro Salvatore.
Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo e dobbiamo perseverare in questa ricerca di contatto e di riflessioni unitive che ci permettano di mettere assieme un suo racconto che ce lo renda, sempre con l’aiuto dello Spirito santo, sempre più vivo e necessario nella nostra vita.
Michele Sebregondio
mercoledì 9 novembre 2016
Lc 8,26-39
26 Approdarono nella regione dei Gerasèni, che sta di fronte alla Galilea.27 Era appena sceso a terra, quando gli venne incontro un uomo della città posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri. 28 Alla vista di Gesù gli si gettò ai piedi urlando e disse a gran voce: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non tormentarmi!». 29 Gesù infatti stava ordinando allo spirito immondo di uscire da quell'uomo. Molte volte infatti s'era impossessato di lui; allora lo legavano con catene e lo custodivano in ceppi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti.30 Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?». Rispose: «Legione», perché molti demòni erano entrati in lui.31 E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell'abisso.32 Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise.33 I demòni uscirono dall'uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò.34 Quando videro ciò che era accaduto, i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nei villaggi.35 La gente uscì per vedere l'accaduto, arrivarono da Gesù e trovarono l'uomo dal quale erano usciti i demòni vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù; e furono presi da spavento.36 Quelli che erano stati spettatori riferirono come l'indemoniato era stato guarito.37 Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Gesù, salito su una barca, tornò indietro.38 L'uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo:39 «Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto». L'uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.
Che ci siano
pure nell’orizzonte della nostra vita uomini giusti e santi ma è preferibile
non averli vicini perché con le loro scelte ci metterebbero in difficoltà. Purtroppo
questa è la triste storia della nostra esistenza su questa terra. I Geraseni in
fondo si sono comportati in modo civile e cioè hanno pregato Gesù d’allontanarsi,
mentre in altre occasioni, soprattutto a carattere religioso, in molti si sono
dati da fare per ucciderlo. Ora cerchiamo d’avvicinare questo episodio ai
nostri giorni ed ecco che Gesù si presenta
nei panni delle donne nigeriane rifiutate da un gruppo di residenti di Gorino. Si
è ripetuta la stessa scena di rifiuto per difendere i propri interessi locali. In
questo episodio non c’erano demoni di nome ‘legione’ ma di nome ‘gruppo’. Per
fortuna che da ogni parte d’Italia si è levato forte lo sdegno. Tornando a Gesù
dobbiamo notare come davanti a Lui, luce divina, le luci delle tenebre sono
state costrette ad andare via. La cosa interessante è che Gesù acconsente alla
richiesta di Legione ma poi sono i demoni che obbligano i maiali a morire a
gettandosi nel lago: questo per precisare che non è Gesù che si fa promotore
dell’uccisione dei maiali. Al contrario degli ostili Geraseni, che avevano
cercato in ogni modo di emarginare e contenere l’indemoniato, Gesù non ha verso l’indemoniato un comportamento ostile. Gesù
si interessa all’uomo cercando di fare qualcosa per lui. Questo suo
atteggiamento dovrebbe incoraggiarci ad osare nel prenderci cura di un nostro
prossimo particolarmente in difficoltà. Nel caso ce ne prendessimo cura
assisteremmo alla sua progressiva trasformazione e ritorno ad una buona forma di
vita. Certo la vita è complicata e vi sono persone formate proprio per aiutare
casi disperati, tuttavia non bisogna mai delegare nessuno a fare ciò che nelle
situazioni viene richiesto a noi e solo noi.
lunedì 7 novembre 2016
XXXIISETTIMANA DEL T.O.ANNO PARI- MARTEDÌ
Lc 17, 7-10
In quel tempo, Gesù disse:«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Queste parole di Gesù sono una doccia fredda per il nostro sentimento d’importanza personale. Verso di esse abbiamo un istintivo rifiuto quasi che Gesù volesse sottolineare che può fare a meno di noi e che la nostra partecipazione alla vita del mondo è solo un atto dovuto senza attenzione verso il valore del nostro singolo io e delle nostre azioni. Insomma ci fa fatica accettare d’essere inutili.
Ora entriamo più a fondo per comprendere con la luce dello Spirito Santo queste parole del Signore che a livello solo umano stridono troppo con la nostra carne. E dunque ammettiamo pure d’essere utili nel portare avanti il regno di Dio. Come dobbiamo intendere questa utilità? Se essa fosse messa davanti al Signore come un qualcosa senza la quale il suo regno non potrebbe andare avanti capiamo bene che saremmo veramente fuori strada. Non siamo necessari perché la necessità così vissuta sarebbe come una porta sbarrata verso qualsiasi nostro cambiamento in quanto chi si sente necessario si percepisce ricco di una qualche preziosità da contrattare e scambiare con qualcos’altro.
Ora se ci mettiamo davanti al Signore dobbiamo dire con tutta verità che noi non possediamo nulla di così necessario tanto che Lui sia costretto a darci qualcosa in cambio. Noi sperimentiamo invece che tutto ciò che abbiamo d’importante e bello nella nostra vita lo abbiamo ricevuto da Lui in modo gratuito. Il Signore non ha bussato alla nostra porta per chiederci cosa avevamo d’importante da scambiare con Lui in modo paritario. No, egli bussando ci ha offerto gratuitamente tutto se stesso senza chiederci nulla in cambio che gli sia necessario.
Forse ora possiamo capire meglio cosa significhi che ‘siamo servi inutili”, ma attenzione perché potremmo declinare il significato di queste parole così: “Ora siamo davvero consapevoli di non potergli dare nulla che possa in qualche modo comprare l’avere parte con Lui.” Se pensiamo così siamo ancora fuori strada perché ci rimarrebbe dentro quella sensazione luciferina del dire: “Peccato, mi sarebbe piaciuto avergli potuto dare qualcosa che gli fosse necessario. ”. Gesù vuole davvero farci uscire dal mondo dell’utilità per trasportarci di sana pianta in quello della gratuità. E cosa ci chiede? Ci chiede qualcosa in cui entra questa volta sì con forza potente la ‘necessità’. Se Gesù ci bussa alla porta o si presenta a noi nei mille modi dei canali della quotidianità è necessario aprirgli se vogliamo entrare nella vita vera o è preferibile far finta di niente perdendo l’occasione di un incontro formidabile? Solo così possiamo dire d’essere ‘necessari’ a Dio ma non perché Egli od il suo regno siano di più e meglio grazie alle nostre cose preziose che vorremmo barattare, ma perché solo con un nostro sì gratuito possiamo celebrare un congiungimento d’amore che permetta al regno di Dio di prosperare a partire dal nostro piccolissimo granellino di senape che Dio saprà far crescere e valorizzare.
E poi sinceramente il fatto di non sentirsi importanti è una tale liberazione anche solo dal punto di vista umano e di questo possiamo essere grati al Signore ripetendo in continuazione: ‘siamo servi inutili perché tutto ciò che conta per noi lo riceviamo solo dalle tue mani Signore e da quelle dei tuoi servi fedeli di ogni colore,razza fede e religione.”.
venerdì 4 novembre 2016
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
Mt 25, 31-46
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella
sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli
altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua
destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla
sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno
preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e
mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in
carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore,
quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti
abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo
accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in
carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi
dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla
sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il
diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi
avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o
assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete
fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne
andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Un giorno saremo tutti lì davanti al Signore e tutti saremo
chi nel vero timore di Dio, chi nel terrore. Non dobbiamo meravigliarci che ad
un certo punto del tempo, e cioè quando non vi sarà più il tempo, si apriranno
gli scenari della grande misericordia ma anche quelli della punizione. E dobbiamo
acconsentire a questo scenario per il semplice fatto che noi uomini per primi
mettiamo in galera i malvagi e non possiamo sopportare che se ne vadano liberi come
se non avessero offeso profondamente l’umanità di tutti. Noi vogliamo che essi
siano rinchiusi e privati della loro
libertà perché temiamo che i malvagi con le loro condotte riprovevoli possano
infettare sempre di più il tessuto sociale.
Il sentimento di ripulsa che
abbiamo verso di loro è legittimo perché tra il bene ed il male non può
esistere coabitazione. Il Signore quando verrà nella sua gloria farà lo stesso
e cioè dividerà i buoni dai malvagi. Una parte consistente dei paesi di questo
mondo ha abolito la pena di morte e dunque la reclusione oltre ad essere un
castigo può diventare per i carcerati un’occasione di riscatto.
Nella storia
varie sono state le posizioni pro o contro la pena morte e per parte cattolica
abbiamo avuto sostenitori nell’uno e nell’altro campo: Agostino « Quanto più ci dispiace il peccato,
tanto più desideriamo che il peccatore non muoia senza essersi emendato. È
facile ed è anche inclinazione naturale odiare i malvagi perché sono tali, ma è
raro e consono al sentimento religioso amarli perché sono persone umane, in
modo da biasimare la colpa e nello stesso tempo riconoscere la bontà della
natura; allora l'odio per la colpa sarà più ragionevole poiché è proprio essa a
macchiare la natura che si ama » (Agostino, Lettera 153) ; « Ma pensi
tu, forse, o uomo, che condanni chi fa tali azioni e poi le fai tu stesso, di
sfuggire alla condanna di Dio? Ti burli forse dell'immensa bontà, pazienza e
tolleranza di Lui? Ignori forse che la pazienza di Dio t'invita al pentimento?
Tu invece con la tua durezza di cuore impenitente ti ammassi sul capo un cumulo
di punizioni per il giorno della collera e del giudizio finale, in cui Dio,
rendendo pubblico il Suo verdetto, darà a ciascuno secondo quel che avrà fatto
in vita » (Agostino, Lettera 153);
Tommaso
d’Aquino:« Ora, qualsiasi parte è ordinata
al tutto come ciò che è meno perfetto è ordinato a un essere perfetto. Perciò
la parte è per natura subordinata al tutto. Ecco perché, nel caso che lo esiga
la salute di tutto il corpo, si ricorre lodevolmente e salutarmente al taglio
di un membro putrido e cancrenoso. Ebbene, ciascun individuo sta a tutta la
comunità come una parte sta al tutto. E quindi se un uomo con i suoi peccati è
pericoloso e disgregativo per la collettività, è cosa lodevole e salutare
sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo:
"Un po' di fermento può corrompere tutta la massa". »(Summa theologiae II-II,
q. 64, a.
2, co..). Direi che la posizione di Agostino è
quella più vicina allo spirito evangelico che preferisce non tagliare l’albero
nella speranza che possa nel futuro portare ancora frutti.
Quando arriverà Gesù come re della gloria alla fine dei tempi i malvagi avranno modo di vedere
quante volte a motivo delle loro malefatte la sentenza di morte sia fisica che
spirituale era stata spostata nel tempo dall’abbondante misericordia divina. Un’ultima
cosa importante da tenere presente per non essere impauriti dalla lista delle
cose che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto ce la porge la stessa soavità del
nostro giudice Gesù: egli dice che qualsiasi cosa abbiamo fatto ad uno dei
piccoli di questa terra l’avremo fatta a Lui.
Ora noi sappiamo d’essere delle persone
dal cuore più o meno duro ma questo far entrare nella scena i piccoli ( che
sappiamo non essere solo di età) ci è di grande aiuto perché chi non si scioglie
davanti a loro? Sarà la loro presenza e l’essere stati verso di loro portatori di
bene che ci aiuterà in quel momento temibile ed esaltante in cui saremo di
fronte al re della gloria: Gesù nostro signore e maestro.
Michele Sebregondio
mercoledì 2 novembre 2016
XXXISETTIMANA DEL T.O.
GIOVEDÌ
Lc 15, 1-10
In
quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per
ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i
peccatori e mangia con loro».Ed
egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde
una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta,
finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle
spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con
me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico:
così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per
novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale
donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la
casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama
le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la
moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di
Dio per un solo peccatore che si converte».
Questo brano evangelico potrebbe titolarsi così: “La gioia
di Dio”. Ci si potrebbe fare un’immagine di Dio davvero sbagliata duplicando
per il cielo ciò che ci sembra succeda in terra e cioè la sua indifferenza.
L’esperienza comune infatti ci fa vedere come Dio non intervenga nelle nostre
cose umane, nei conflitti, nelle catastrofi naturali e così pensiamo che Egli
se ne stia nel suo cielo beato e non si prenda cura, né si emozioni più di
tanto per le sue creature.
Noi cristiani tuttavia la pensiamo diversamente non
solo per ciò che avviene in cielo ma anche per ciò che avviene sulla terra. E’
vero infatti che la natura ha le sue
leggi e la sua autonomia e che noi siamo liberi
e solo sulla carta potremmo distruggere la terra, tuttavia noi sappiamo che essa e noi stessi siamo nelle mani di Dio. E ciò vuol
dire che se guardiamo alla storia dei singoli eventi dobbiamo confermare che
essi sono determinati secondo leggi loro proprie, fatta salva la libertà di Dio
intervenire come nella tempesta sedata,
ma se guardiamo al complesso della creazione, all’uomo ed alla natura,
allora essa è completamente nelle mani di Dio e dunque indistruttibile.
Hildegarda
di Bingen ce lo fa vedere in modo plastico immagine iniziale in cui lo spessore
dell’amore di Dio in colore rosso è il più spesso di tutti gli altri cerchi che avvolgono l’esistenza
della natura e dell’uomo. L’amore di Dio per la sua creazione è più forte di
ogni pensiero ed azione maligna che possano annientarla. Dio dunque non è
indifferente sul piano di ciò che ha voluto come frutto del suo amore, ma si
prende cura e custodisce ciò che ama.
Ora possiamo passare alle parole di Gesù
che è il sicuro interprete della volontà del Padre celeste. E qui scopriamo in
modo chiaro e definitivo che il nostro Dio non è una mummia o un gelido idolo
di vetro ma un essere così perfetto, e quindi anche nei suoi sentimenti, che la
sua gioia per un peccatore pentito rimbalza, anche se non abbiamo strumenti per
rilevarlo a livello della nostra sensibilità, per tutto l’universo. Infatti non
è da prendere sottogamba la parola di Gesù quando dice che vi “sarà gioia nel
cielo” e che, udite udite!, la gioia del nostro Padre celeste sarà irradiata davanti a tutti gli angeli del
cielo.
Confortati dunque da questa immagine possiamo trarne una conseguenza
concreta anche per la nostra vita e ricavarne quel senso di sicurezza e di
incedere nel cammino del mondo con la chiara consapevolezza che Dio ci ama, è
vicino, gioisce per noi. Cosa volgiamo di più? Il nostro compito è quello di ringraziare
e testimoniare il sorriso di Dio su
tutte noi creature fino al momento in cui saranno tolte le scaglie dai nostri
occhi e potremo finalmente conoscere quanto profondo e continuo è stato l’amore
di Dio per noi.
Michele Sebregondio
Aggiungo anche il commento del nostro Livio Cailotto.
Cosa mi dice questo racconto di Luca? Io in questo racconto mi
riconosco nella posizione dei pubblicani
e dei peccatori. Si sarei anch'io uno che lo vuole conoscere, nonostante la mia
lontananza da ogni pratica religiosa convenzionale. Si ho ricevuto anch'io una
educazione religiosa, ma poi per tanti motivi ho iniziato ad allontanarmi, e di
più, ho iniziato a non trovare un senso per tutto ciò che di religioso mi si
proponeva. Ma nonostante tutto questo mi è rimasta la curiosità e in un certo
senso la sensibilità per ascoltare Gesù.
Lo ascolto perché non mi chiede chi sono o cosa ho fatto di
male o di bene nella vita. So per sentito dire che la sua logica è un po'
diversa e io vorrei capire. In quanto
pubblicano non mi viene riconosciuta una dimensione religiosa e il fatto che
Gesù mi dedichi delle attenzioni, non è indifferente per me. Conoscere un uomo
giusto e capire come Lui vive la sua vita interessa anche a me che non sono
molto religioso.Avvicinandomi così a Gesù forse posso cambiare qualcosa della
mia vita. Un processo lento e non una conversione fulminante.