giovedì 8 dicembre 2016

8 DICEMBRE
IMMACOLATA CONCEZIONE 
DELLA B.V. MARIA

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Lc 1,26-38


In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Maria figlia d’Israele con quell’ ‘eccomi sono la serva del Signore: avvenga secondo la tua parola’ riscatta i suoi progenitori da tutti i caparbi dinieghi con cui avevano rifiutato la salvezza proposta loro dal  Signore. L’angelo la saluta come piena di grazia ed è questa grazia che ha attirato Dio a farla sua sposa e farla diventare Madre del Salvatore. Maria è la controprova vivente che all’’offerta di Dio d’essere sempre con Lui si poteva davvero dire sì. Senza di lei l’umanità avrebbe potuto gettare su Dio un sospetto, sempre ingiustificato, ma crudele e cioè quello in cui i progenitori nel giardino dell’eden non avrebbero potuto fare altra scelta se non quella di  vivere in questo mondo dimenticandosi di Dio. 


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E dunque non abbiamo scuse in quanto la giustizia di Dio ci è venuta incontro anche attraverso Maria perché all’offerta di Dio di una vita secondo il suo cuore si poteva davvero dire di sì come del resto sul piano delle creature celesti hanno fatto gli angeli buoni. Maria nella sua breve vita ha scelto costantemente di stare con Dio e Dio l’ha scelta perché in nessuna altra donna poteva stare come a casa sua. Maria allora offre a noi l’’idea che si può stare in questo mondo, con dedizione ed amore, conducendo una vita semplice lontana dai magici poteri che gli uomini attribuiscono sempre alle madri divine degli dei. Poi la vergine Maria ci offre uno spaccato inedito di rapporti con il Creatore. Non si fa abbagliare dalle parole dell’angelo o dalla fretta di acquisire un così potere straordinario derivante dall’ essere così intima a Dio e madre del Figlio dell’Altissimo. 


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Le sue disarmanti parole: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» ci fanno capire quanto Maria fosse aperta ed abituata ad un rapporto dialogante con Dio non come capita a noi che di Dio non abbiamo questa esperienza. Inoltre il suo modo di domandare ci fa capire come fosse veramente inserita nel modo d’essere e di comportarsi umano. La generazione avviene infatti dall’unione di un uomo e di una donna ed il suo dichiarare di non conoscere uomo (forse per una sua esclusiva dedicazione a Dio per cui il suo essere promessa sposa a Giuseppe, in accordo con Lui, doveva essere un modo di metterla al riparo da chi poteva mettere gli occhi su di Lei non accettando questo suo stato) ci mettono proprio sulla strada del pensare ad una forma di consacrazione totale di Lei verso il suo Dio. 


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E di sicuro deve essere stato così perché se Maria viene dichiarata dall’angelo Gabriele piena di grazia  è giocoforza pensare che ormai il suo cuore era pieno di Dio e non poteva di fatto essere di un uomo. E per finire in questa contemplazione della nostra Madre celeste possiamo ringraziarla per tutte le cure che ha per noi in questi tempi bui in cui sembra che gli strali oscuri della disumanità sembrano oscurare la luce divina che comunque sempre è presente nel nostro mondo.

Michele Sebregondio


martedì 6 dicembre 2016

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Lc 9, 1-6  lunedì 7 Dicembre 2016

[1]Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. [2]E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. [3]Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno.[4]In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. [5]Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi».[6]Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni. [7]Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», [8]altri: «E' apparso Elia», e altri ancora: «E' risorto uno degli antichi profeti». [9]Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.



Gesù invia i suoi discepoli per annunziare il regno di Dio. Se dunque anche noi ci percepiamo come suoi discepoli l’invio vale anche per noi. Ma cosa significa annunziare il suo regno? Significa spandere la luce proveniente dal suo volto lungo i sentieri della nostra vita che è fatta di relazioni e d’incontri. Questa luce tuttavia è da intendere bene per non  farne qualcosa d’esteriore o legato ad atteggiamenti solo devozionali. L’unico modo per essere certi che si tratti della luce del nostro Salvatore e non della nostra è quella di pescarla dalla vita di Gesù, dalle sue parole, dal modo come ha vissuto ed interagito con gli uomini del suo tempo. Abbiamo proprio bisogno di entrare di più nella biografia del Signore perché diversamente ci perdiamo la differenza tra Lui e     qualsiasi altro uomo santo esistito su questa terra. E non solo, perché attraverso di Lui abbiamo modo di conoscere noi stessi e le pieghe più o meno ambigue del nostro essere. Gesù dà a coloro che invia la sua forza e questa forza non è qualcosa che ci troviamo addosso come un’aggiunta a quel che siamo, ma è una forza con-saputa perché è il risultato di un rapporto presente ed attivo tra Lui e noi. Gesù dà ai suoi inviati la ‘forza’ per affrontare questo loro cammino di liberazione. E così deve davvero tramontare dal nostro cuore, troppo incline alla lamentazione ed alla debolezza, l’idea che servire il Signore significhi l’assenza dentro di noi di qualcosa che ci sostenga in tutto ciò che facciamo nel nome di Gesù.  Il punto vero allora è chiedersi se nella nostra quotidianità il nome e la presenza di Gesù sia il motore che ci spinge ad affrontare la vita.  Interrogarci su ciò può fare la differenza tra l’essere cristiani davvero o solo per iscrizione anagrafica. Tra le raccomandazioni che Gesù dà ai suoi inviati c’è anche questa:  “Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi”. (Lc 9,5) Questo suggerimento è importante ma anche qui occorre tener presente che la sua interpretazione non è univoca perché, assieme a quella in cui lo scuotersi la polvere dai piedi può significare liberarsi da qualsiasi cosa possa creare una sorta di alleanza nascosta con gli ospiti visitati, ve ne sono almeno altre due: la prima  vuol dire agli interessati: prendetevi la responsabilità del vostro gesto perché noi siamo venuti in pace; e la seconda  che riguarda proprio gli inviati: questi devono allontanare da sé qualsiasi sentimento negativo contro coloro che li hanno respinti. Cosa non facile se non si è radicati nell’amore di Cristo Gesù. 

mercoledì 30 novembre 2016

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Lc 8, 40- 48

[40]Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui. [41]Ed ecco venne un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua,[42]perché aveva un'unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Durante il cammino, le folle gli si accalcavano attorno. [43]Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire,[44]gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. [45]Gesù disse: «Chi mi ha toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». [46]Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me». [47]Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l'aveva toccato, e come era stata subito guarita. [48]Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, và in pace!».

In prima istanza colpisce la voce di Gesù che sembra ridare vita alla ragazza morta solo con la  forza della sua parola: “Fanciulla, alzati!”. Poi ancora colpisce il fatto che Gesù non recita alcuna formula magica, né ricorre ad amuleti o  cose di tal sorta come sogliono fare i guaritori ma si rivolge direttamente alla fanciulla come se lei fosse viva. Ed a voler ben entrare nel senso di questo parlare diretto dobbiamo concludere, a meno di pensare che Gesù fosse in quel momento un folle visionario,  che per Lui la ragazza  era davvero presente e viva, anche se in un’altra dimensione. Gesù dunque ci svela che i morti non sono morti davvero come qualcuno potrebbe pensare, e forse in modo legittimo credendo che quando si muore si muore e basta ed è inutile consolarsi con le fantasie consolatorie di una vita dopo la morte. Nell’esecuzione di questo prodigio non ci troviamo di fronte ad un richiedente che in forza della sua fede ottiene da Gesù un miracolo, no, ma alla paziente opera di Gesù che nonostante la derisione dei presenti fa rivivere la figlia di Giairo. Questi era il capo della sinagoga e fa meraviglia vedere come, pur figlio della grande tradizione dell’Alleanza, non brilla tanto nel credere in Gesù a differenza del centurione, un pagano, che invece nella medesima situazione, aveva infatti un servo in fin di vita, ottiene la guarigione tanto da far dire a Gesù : “"Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". Tuttavia Giairo alla fine deve aver creduto in cuor suo che il Maestro potesse davvero far qualcosa per sua figlia ed a questo arriviamo solo dalle parole di Gesù quando dice: «Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata». Sì, anche se l’uomo non ha brillato per una fede forte come quella del centurione, ha ottenuto tuttavia da Gesù la vita della figlia perché si è attaccato alle sue parole non avendo altro su cui fare affidamento.  

mercoledì 23 novembre 2016

Lc 8, 40 – 48  mercoledì 23 Luglio 2016


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Gesù guarisce una donna che perdeva sangue da 12 anni e che nessuno riusciva a guarire. Ci troviamo davanti ad un caso come ve ne sono tanti nella vita umana dove non si riesce ad uscirne. Eppure ci si da  fare con ogni mezzo, con ogni medico, con ogni guaritore ma niente da fare. Gesù dice che la sua fede l’ha salvata ed in questo modo ci fa capire che prima  la sua volontà di guarire non era accompagnata dalla fede e cioè dal ricevere dall’alto la guarigione che cercava. Quando la donna cerca di avvicinarsi a Gesù ed a toccarlo è andata oltre quel suo voler guarire solo con le sue forze. Ha fatto un passo importante, decisivo ma Gesù l’invita a farne un altro, a non nascondersi dietro all’anonimato ed a venir fuori con tutta la sua persona di fronte a chi l’ha guarita. Gesù dunque instaura nel modalità d’essere nel regno non un esserci tra sconosciuti ma tra persone che si conoscono e fanno comunità. E di fatti è davanti a tutti che lei si decide di raccontare la verità sulla sua guarigione. L’intento di Gesù è sempre quello di sottrarci alla massa, all’accadere delle cose per una pressione senza volto. Ricordiamoci dell’episodio della moltiplicazione dei pani in cui divide la folla anonima in gruppi di 50 e cioè in un numero delle persone che si possono guardare in faccia e riconoscersi. La donna perdeva sangue da 12 anni e così anche noi possiamo immedesimarci in questa donna quando, magari non perdendo sangue, ma perdendo energie, occasioni di vita, ci trasciniamo in quella corsa folle in cui crediamo di poterci dare la salvezza con le nostre stesse mani. Rimaniamo infatti vittima di un meccanismo innato in cui la prima cosa da fare è brigare per uscirne e questo potrebbe essere una cosa buona rispetto ad un lasciarsi andare e non far niente, ma c’è presto un punto di svolta in cui andiamo avanti credendo davvero che tutto dipenda da noi. Purtroppo quando si percorre questa strada fino in fondo ci si trova come la donna che perde sangue in una malattia senza uscita. L’emorroissa, come viene chiamata la donna, per fare quello che ha fatto deve aver abbandonato ogni speranza di guarire per mano umana ed è così che Gesù l’ha potuta guarire. La guarigione è sempre frutto di una relazione con Gesù in cui l’uomo si affida ed apre il suo cuore per essere guarito. Di sicuro, e senza mettere limiti alla Provvidenza per le guarigioni fisiche, Gesù guarisce il nostro cuore se glielo affidiamo. Questo è certo:Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.” (Mt 11, 28-30)     

lunedì 21 novembre 2016


da : https://davantiallaparola.blogspot.it/

22 NOVEMBRE
SANTA CECILIA
Vergine e Martire (sec. II-III)

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Mt 25, 1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora». 

Vedere in prospettiva la propria vita come un cammino per incontrare lo sposo e festeggiare con Lui è un’immagine non solo bella, ma di quelle che danno una grande gioia. 

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Detto questo cerchiamo di capire se nei nostri vasi vi è olio sufficiente per illuminare il tempo che manca all’arrivo del Signore di cui non si sa né il giorno, né l’ora. Le possibili interpretazioni sul significato dell’olio sono tante io ne sceglierò una che spero possa aiutarci a vedere se di quest’olio siamo in possesso. Allora possiamo vedere in quelle vergini stolte noi stessi quando ancora non avevamo capito che non basta avere un rapporto con Dio del tipo: ‘Signore vado in chiesa e ti prego’.

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Questo modo può andare bene quando la vita non è toccata da grandi prove ma quando le nubi del dolore si addensano su di noi abbiamo bisogno non di una fede bambina, ma di una che ha fatto un percorso di conoscenza con il partner che si dice di amare. Gesù infatti dice alle stolte di non conoscerle e ciò avvalora l’ipotesi che egli vuole una relazione in cui il sapere uno dell’altro è molto importante. 

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Se per essere a posto bastasse avere un rapporto diretto con Dio non sarebbe stato necessario che Gesù venisse su  questa terra. Dobbiamo convincerci che per noi Dio è un muro invalicabile e se qualcosa possiamo sapere di Lui è solo grazie a ciò che con la sua vita di Gesù. A questo punto diventa strategico conoscerla ed amarla perché è grazie a questa conoscenza che il nostro olio ci permetterà al momento opportuno d’essere accolti per gioire assieme a Gesù nel suo regno. 

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Il nostro olio dunque deve essere una meditazione continua della vita di Gesù. Un impegno che ci permetta attraverso l’assiduità della preghiera e della lettura delle sue parole di ricreare nel laboratorio del nostro spirito un’immagine a tutto tondo del nostro Salvatore. 

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Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo e dobbiamo perseverare in questa ricerca di contatto e di riflessioni unitive che ci permettano di mettere assieme un suo racconto che ce lo renda, sempre con l’aiuto dello Spirito santo, sempre più vivo e necessario nella nostra vita.


Michele Sebregondio

mercoledì 9 novembre 2016


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Lc 8,26-39

26 Approdarono nella regione dei Gerasèni, che sta di fronte alla Galilea.27 Era appena sceso a terra, quando gli venne incontro un uomo della città posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri. 28 Alla vista di Gesù gli si gettò ai piedi urlando e disse a gran voce: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non tormentarmi!». 29 Gesù infatti stava ordinando allo spirito immondo di uscire da quell'uomo. Molte volte infatti s'era impossessato di lui; allora lo legavano con catene e lo custodivano in ceppi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti. 30 Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?». Rispose: «Legione», perché molti demòni erano entrati in lui. 31 E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell'abisso.32 Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise.33 I demòni uscirono dall'uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò. 34 Quando videro ciò che era accaduto, i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nei villaggi. 35 La gente uscì per vedere l'accaduto, arrivarono da Gesù e trovarono l'uomo dal quale erano usciti i demòni vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù; e furono presi da spavento.36 Quelli che erano stati spettatori riferirono come l'indemoniato era stato guarito. 37 Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Gesù, salito su una barca, tornò indietro. 38 L'uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo: 39 «Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto». L'uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.

Che ci siano pure nell’orizzonte della nostra vita uomini giusti e santi ma è preferibile non averli vicini perché con le loro scelte ci metterebbero in difficoltà. Purtroppo questa è la triste storia della nostra esistenza su questa terra. I Geraseni in fondo si sono comportati in modo civile e cioè hanno pregato Gesù d’allontanarsi, mentre in altre occasioni, soprattutto a carattere religioso, in molti si sono dati da fare per ucciderlo. Ora cerchiamo d’avvicinare questo episodio ai nostri giorni  ed ecco che Gesù si presenta nei panni delle donne nigeriane rifiutate da un gruppo di residenti di Gorino. Si è ripetuta la stessa scena di rifiuto per difendere i propri interessi locali. In questo episodio non c’erano demoni di nome ‘legione’ ma di nome ‘gruppo’. Per fortuna che da ogni parte d’Italia si è levato forte lo sdegno. Tornando a Gesù dobbiamo notare come davanti a Lui, luce divina, le luci delle tenebre sono state costrette ad andare via. La cosa interessante è che Gesù acconsente alla richiesta di Legione ma poi sono i demoni che obbligano i maiali a morire a gettandosi nel lago: questo per precisare che non è Gesù che si fa promotore dell’uccisione dei maiali. Al contrario degli ostili Geraseni, che avevano cercato in ogni modo di emarginare e contenere l’indemoniato,  Gesù non ha  verso l’indemoniato un comportamento ostile. Gesù si interessa all’uomo cercando di fare qualcosa per lui. Questo suo atteggiamento dovrebbe incoraggiarci ad osare nel prenderci cura di un nostro prossimo particolarmente in difficoltà. Nel caso ce ne prendessimo cura assisteremmo alla sua progressiva trasformazione e ritorno ad una buona forma di vita. Certo la vita è complicata e vi sono persone formate proprio per aiutare casi disperati, tuttavia non bisogna mai delegare nessuno a fare ciò che nelle situazioni viene richiesto a noi e solo noi. 

lunedì 7 novembre 2016

XXXII SETTIMANA DEL T.O. ANNO PARI - MARTEDÌ

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Lc 17, 7-10
 
In quel tempo, Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
 

Queste parole di Gesù sono una doccia fredda per il nostro sentimento d’importanza personale. Verso di esse abbiamo un istintivo rifiuto quasi che Gesù volesse sottolineare che può fare a meno di noi e che la nostra partecipazione alla vita del mondo è solo un atto dovuto senza attenzione verso il valore del nostro singolo io e delle nostre azioni. Insomma ci fa fatica accettare d’essere inutili. 


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Ora entriamo più a fondo per comprendere con la luce dello Spirito Santo queste parole del Signore che a livello solo umano stridono troppo con la nostra carne. E dunque ammettiamo pure d’essere utili nel portare avanti il regno di Dio. Come dobbiamo intendere questa utilità? Se essa fosse messa davanti al Signore come un qualcosa senza la quale il suo regno non potrebbe andare avanti capiamo bene che saremmo veramente fuori strada. Non siamo necessari perché la necessità così vissuta sarebbe come una porta sbarrata verso qualsiasi nostro cambiamento in quanto chi si sente necessario si percepisce ricco di una qualche preziosità da contrattare e scambiare con qualcos’altro. 


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Ora se ci mettiamo davanti al Signore dobbiamo dire con tutta verità che noi non possediamo nulla di così necessario tanto che Lui sia costretto a darci qualcosa in cambio. Noi sperimentiamo invece che tutto ciò che abbiamo d’importante e bello nella nostra vita lo abbiamo ricevuto da Lui in modo gratuito. Il Signore non ha bussato alla nostra porta per chiederci cosa avevamo d’importante da scambiare con Lui in modo paritario. No, egli bussando ci ha offerto gratuitamente tutto se stesso senza chiederci nulla in cambio che gli sia necessario.  


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Forse ora possiamo capire meglio cosa significhi che ‘siamo servi inutili”, ma attenzione perché potremmo declinare il significato di queste parole così:  “Ora siamo davvero consapevoli di non potergli dare nulla che possa in qualche modo comprare l’avere parte con Lui.”  Se pensiamo così siamo ancora fuori strada perché ci rimarrebbe dentro quella sensazione luciferina del dire: “Peccato, mi sarebbe piaciuto avergli potuto dare qualcosa che gli fosse necessario. ”. Gesù vuole davvero farci uscire dal mondo dell’utilità per trasportarci di sana pianta in quello della gratuità. E cosa ci chiede? Ci chiede qualcosa in  cui entra questa volta sì con forza potente la ‘necessità’. Se Gesù ci bussa alla porta o si presenta a noi nei mille modi dei canali della quotidianità  è necessario aprirgli se vogliamo entrare   nella vita vera o è preferibile far finta di niente perdendo l’occasione di un incontro formidabile? Solo così possiamo dire d’essere ‘necessari’ a Dio ma non perché Egli od il suo regno siano di più e meglio grazie alle nostre cose preziose che vorremmo barattare, ma perché solo con un nostro sì gratuito possiamo celebrare un congiungimento d’amore che permetta al regno di Dio di prosperare a partire dal nostro piccolissimo granellino di senape che Dio saprà far crescere e valorizzare.  


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E poi sinceramente il fatto di non sentirsi importanti è una tale liberazione anche solo dal punto di vista umano e di questo possiamo essere grati al Signore ripetendo in continuazione: ‘siamo servi inutili perché tutto ciò che conta per noi lo riceviamo solo dalle tue mani Signore e da quelle dei tuoi servi fedeli di ogni colore,razza fede  e religione.”.

venerdì 4 novembre 2016

NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

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Mt 25, 31-46

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Un giorno saremo tutti lì davanti al Signore e tutti saremo chi nel vero timore di Dio, chi nel terrore. Non dobbiamo meravigliarci che ad un certo punto del tempo, e cioè quando non vi sarà più il tempo, si apriranno gli scenari della grande misericordia ma anche quelli della punizione. E dobbiamo acconsentire a questo scenario per il semplice fatto che noi uomini per primi mettiamo in galera i malvagi e non possiamo sopportare che se ne vadano liberi come se non avessero offeso profondamente l’umanità di tutti. Noi vogliamo che essi siano rinchiusi  e privati della loro libertà perché temiamo che i malvagi con le loro condotte riprovevoli possano infettare sempre di più il tessuto sociale. 

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Il sentimento di ripulsa che abbiamo verso di loro è legittimo perché tra il bene ed il male non può esistere coabitazione. Il Signore quando verrà nella sua gloria farà lo stesso e cioè dividerà i buoni dai malvagi. Una parte consistente dei paesi di questo mondo ha abolito la pena di morte e dunque la reclusione oltre ad essere un castigo può diventare per i carcerati un’occasione di riscatto. 

pena di morte


Nella storia varie sono state le posizioni pro o contro la pena morte e per parte cattolica abbiamo avuto sostenitori nell’uno e nell’altro campo: Agostino  « Quanto più ci dispiace il peccato, tanto più desideriamo che il peccatore non muoia senza essersi emendato. È facile ed è anche inclinazione naturale odiare i malvagi perché sono tali, ma è raro e consono al sentimento religioso amarli perché sono persone umane, in modo da biasimare la colpa e nello stesso tempo riconoscere la bontà della natura; allora l'odio per la colpa sarà più ragionevole poiché è proprio essa a macchiare la natura che si ama » (Agostino, Lettera 153) ; « Ma pensi tu, forse, o uomo, che condanni chi fa tali azioni e poi le fai tu stesso, di sfuggire alla condanna di Dio? Ti burli forse dell'immensa bontà, pazienza e tolleranza di Lui? Ignori forse che la pazienza di Dio t'invita al pentimento? Tu invece con la tua durezza di cuore impenitente ti ammassi sul capo un cumulo di punizioni per il giorno della collera e del giudizio finale, in cui Dio, rendendo pubblico il Suo verdetto, darà a ciascuno secondo quel che avrà fatto in vita » (Agostino, Lettera 153); 


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Tommaso d’Aquino:« Ora, qualsiasi parte è ordinata al tutto come ciò che è meno perfetto è ordinato a un essere perfetto. Perciò la parte è per natura subordinata al tutto. Ecco perché, nel caso che lo esiga la salute di tutto il corpo, si ricorre lodevolmente e salutarmente al taglio di un membro putrido e cancrenoso. Ebbene, ciascun individuo sta a tutta la comunità come una parte sta al tutto. E quindi se un uomo con i suoi peccati è pericoloso e disgregativo per la collettività, è cosa lodevole e salutare sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo: "Un po' di fermento può corrompere tutta la massa". »(Summa theologiae II-II, q. 64, a. 2, co..). Direi che la posizione di Agostino è quella più vicina allo spirito evangelico che preferisce non tagliare l’albero nella speranza che possa nel futuro portare ancora frutti. 

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Quando arriverà Gesù come re della gloria alla fine dei tempi i malvagi avranno modo di vedere quante volte a motivo delle loro malefatte la sentenza di morte sia fisica che spirituale era stata spostata nel tempo dall’abbondante misericordia divina. Un’ultima cosa importante da tenere presente per non essere impauriti dalla lista delle cose che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto ce la porge la stessa soavità del nostro giudice Gesù: egli dice che qualsiasi cosa abbiamo fatto ad uno dei piccoli di questa terra l’avremo fatta a Lui.


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 Ora noi sappiamo d’essere delle persone dal cuore più o meno duro ma questo far entrare nella scena i piccoli ( che sappiamo non essere solo di età) ci è di grande aiuto perché chi non si scioglie davanti a loro? Sarà la loro presenza e l’essere stati verso di loro portatori di bene che ci aiuterà in quel momento temibile ed esaltante in cui saremo di fronte al re della gloria: Gesù nostro signore e maestro.

Michele Sebregondio