giovedì 28 gennaio 2010

Pensiero prima della meditazione


Le prima parole di Dio nella Bibbia sono: ‘Sia la luce’, le altre riguardano le altre sette opere di creazione e cioè la creazione del cielo, la separazione della terra dalle acque e le piante, la crazione degli astri , dei pesci e degli uccelli ed infine la creazione degli animali e dell’uomo. Dio crea ma crea per un tu e cioè per l’uomo tuttavia prima di crearlo orna il creato perché egli posa viverci e starci bene. Non si preoccupa di metterselo subito davanti ma di creargli un contesto adatto e bello per portare avanti la sua esistenza. Anche a noi la parola deve servire per creare quel contesto favorevole e bello per incontrare il nostro prossimo. E se non vogliamo crearlo allora è meglio non metterci in relazione con lui perché creeremmo disastri.




Mc 13

1Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta». 3Mentre era seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Dicci, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi?». 5Gesù si mise a dire loro: «Guardate che nessuno v'inganni! 6Molti verranno in mio nome, dicendo: "Sono io", e inganneranno molti. 7E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. 8Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti sulla terra e vi saranno carestie. Questo sarà il principio dei dolori. 9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro. 10Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti. 11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte. 13Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.


Nessuno ci inganni dice il Signore. Non preoccupiamoci quindi dei disastri esterni ma non perché non ce ne importi ma soprattutto perchè non ci distolgano dal dare un senso alla nostra vita. Solo così, nel caso questi disastri si concretizzino in persecuzioni, potremo essere pronti a dare la nostra testimonianza perché avremo tenuto ferma la barra della nostra vita sul punto luce del nome del Signore. Gesù inoltre suggerisce come affrontare i persecutori e ci anticipa il comportamento che terrà quando sarà portato alla loro presenza. Nessun odio quindi verso chi trascina in giudizio i figli di Dio perché questi sono chiamati a dare loro la testimonianza che Dio è amore e che l’occasione della persecuzione non è che uno scenario inventato da Dio per permettere a chi mai avrebbe avuto la possibilità di ascoltarne le parole di verità e d’amore di ascoltarle per bocca dei suoi testimoni. Gesù ci fa capire inoltre che la storia ci è data come tempo in cui proclamare la sua parola di salvezza e quindi che siamo chiamati a farlo. Non possiamo essere cristiani che ricevono la parola e la mettono in frigorifero oppure che la mettono nella madia, dove alla fine diventa inutile, ma subito nella pasta per farla lievitare. La parola di salvezza che ci è donata attiva un dinamismo a cui è consegnata anche la possibilità che altri la possano conoscere. Oggi invece il nostro vivere cristiano vive nella melassa di una omologazione dove non si percepisce che l’essere cristiani significa portare avanti la buona novella di un uomo Gesù che è stato amato dal Padre. Questo amore aborre da tutte le pratiche che le siano estranee e ciò espone alle persecuzioni tutti coloro che ne sono stati vinti. La persecuzione poi sia di Gesù come di chi lo segue è anche una prova perché la fedeltà e l’amore dichiarato a parole trovi in queste circostanze avverse l’occasione di manifestarsi in tutta la sua verità a beneficio di chi ne è testimone. Certo ci sarebbe piaciuto che il Signore non soffrisse per noi ma l’aver sopportato e vinto una prova così terribile ci ha fatto conoscer la grandezza, l’altezza e la profondità (sono parole di paolo) del suo amore per noi.

sabato 16 gennaio 2010

MARIA SINTESI DEI DUE COMANDAMENTI PIU' IMPORTANTI


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Pensiero prima della meditazione

Penninà era la prima moglie di Elkanà gli aveva dato dei figli. Anna invece che era la seconda moglie soffriva perché non ne aveva. Tuttavia il marito l’amava più della prima moglie. Questa situazione ci fa pensare che il Signore usa il linguaggio della compensazione e cioè un modo attraverso cui egli ci insegna il suo alfabeto. Il Signore compensa il dolore di Anna con l’amore speciale del marito verso di lei. Anche noi dovremmo chiederci nelle nostre giornate quando abbiamo avuto del dolore dove e come il Signore ha compensato il nostro dolore, perché il Signore compensa sempre.



Mc 11
28Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; 30amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi». 32Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; 33amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. 35Gesù continuava a parlare, insegnando nel tempio: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? 36Davide stesso infatti ha detto, mosso dallo Spirito Santo: Disse il Signore al mio Signore:Siedi alla mia destra,finché io ponga i tuoi nemicicome sgabello ai tuoi piedi. 37Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?». E la numerosa folla lo ascoltava volentieri.



Gesù è continuamente oggetto di richieste,di provocazioni, di domande. Certo a parte coloro che gli si avvicinavano per provocarlo o anche per fargli violenza non doveva essere facile per gli ebrei di quel tempo poter immaginare d’avere davanti addirittura il Figlio di Dio. Egli però fa miracoli, risuscita i morti, guarisce e si presenta come una persona fuori dal comune che il popolo amava e solo chi aveva paura di perdere il potere gli andò contro. Altri però anche se non arrivarono a confessare la sua divinità gli mostrarono interesse fino a dire, come Nicodemo, che Gesù veniva da Dio. Gesù da parte sua è consapevole di questa difficoltà e non sbandiera ai quattro venti questa sua identità perché essa prenderà forma in modo completo dopo la sua morte e resurrezione. Ama però mettere in confusione i suoi interlocutori criticando le loro certezze acquisite. E’ vero infatti che per via della carne il Messia che doveva venire era figlio di Davide, ma era pur vero, come fa notare Gesù, che Davide chiama suo Signore il Messia ed allora questi come può essere suo figlio? Gesù risponde alla domanda su ciò che è più importante ed inizia con : "Ascolta Israele!" E’ interessante per noi notare questo inizio perché l’invito non è rivolto ad una singola persona ma ad una entità plurale come lo è Israele. Per noi significa che non possiamo ascoltare la parola di Dio da soli senza che essere incardinati in una comunità di fede. Poi riflettendo sul secondo comandamento ed interrogandoci su che cosa significhi " Amerai il prossimo tuo come te stesso" scopriamo che noi ci amiamo quando ci percepiamo differenti dagli altri, con una nostra vocazione e personalità. Se dunque noi amiamo la nostra differenza, allora dobbiamo estendere questa modalità anche agli altri amandoli non per ciò che ci somiglia, ma per il loro essere differenti da noi. E di più come noi coltiviamo noi stessi facendo diventare la nostra differenza una differenza di qualità allora anche l’amore per gli altri deve includere la premura per aiutarli a crescere in una differenza di qualità. Occorre quindi non constatare che il prossimo è diverso da noi perché ciò porterebbe alla constatazione di una estraneità, ma aiutarli a promuovere la loro diversità. Se tutto ciò è fatto nell’amore si vivrà assieme al prossimo una vita vera. La Trinità, afferma don Tonino lo Bello, è la convivenza amorosa di tre persone diverse. Nel comandamento quindi possiamo trovare un riflesso della vita trinitaria. Se dunque siamo portati a stare con gli altri solo per le parti che ci corrispondono o ci somigliano ecco che imbrocchiamo una strada che alla fine porta ai respingimenti se non troviamo nulla che sia simile a noi.