lunedì 31 ottobre 2016


FESTA DI TUTTI SANTI CRISTIANI E DI OGNI UOMO FEDELE AGLI ALTI VALORI UMANI
                          
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                   liturgia romana


Mt 5,1-12a

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

I poveri aspettano tutto da chi ha. I poveri di oggi sono rappresentati da coloro che a causa delle guerre e della povertà o dalle catastrofi ambientali hanno perso tutto. Non avendo niente non possono far altro che sperare nell’aiuto di qualcuno. Nel regno di Dio sono beati coloro che si sentono totalmente poveri e cioè incapaci con le proprie forze mentali o materiali di meritarsi il dono meraviglioso di farvi parte. Sulla terra però non sono dei nullaoperanti quasi che con la scusa d’aspettarsi tutto dall’alto non si danno da fare per questo mondo. Essi si paragonano a Zaccheo ed il loro intento è solo quello di arrampicarsi sulla pianta del sicomoro per vedere Gesù: poi al resto ci pensa Lui pensandoci noi. 

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Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.

Sono beati coloro che piangono in modo sincero e non rivendicativo o ideologico. E’ il pianto doloroso delle perdite, dello sconforto. E’ il pianto liberatorio che fa piazza pulita di tutti gli intenti rancorosi e rabbiosi. E’ il pianto dell’abbandono a Chi davvero può consolare e cioè sanare nel profondo le ferite per permettere un nuovo inizio.

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Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.

Beati coloro la cui vita non è pianificata per conquistare con la forza sempre nuovi orizzonti sia quelli legati alla terra fisica che quelli prodotti dall’intelligenza. Questi beati trovano sempre  un approccio dolce e mite per trovare le soluzioni che davvero contano nella vita. Il loro essere stati espropriati dei liberi territori delle crescite umane a motivo  delle potenze che le coartano negli ingorghi virulenti dell’appropriazione e degli interessi li fa ereditieri veri di una terra liberata. E qui Gesù non rimanda solo all’altro mondo l’eredità della terra perché la si può ereditare anche in questo perché l’uomo tra le sue pazze possibilità ha anche quella in cui dopo essere stato schiavo di un modo inumano di vivere sa pure alzare lo testa e dare speranza alla terra.

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Charles de Foucault


Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,perché saranno saziati.

Beati tutti coloro che non si fanno riciclare la testa dagli imbonitori televisivi e politici ma si danno da fare perché il sopruso non diventi  legge a cui non ci si può sottrarre. La pasta di questi beati è fatta per documentarsi e proibire a  stessi di galleggiare in quell’apatia del quotidiano in cui la parola d’ordine è: “Tanto non ci posso far niente”. Essi hanno capito d’essere dei nobili cavalieri sempre pronti all’occorrenza  a difendere i deboli o comunque a mettere la loro intelligenza ed il loro impegno per le cause più nobili. Beati ancora tutti i giornalisti morti per aver voluto documentare le malefatte dei cialtroni ed assassini  e beati ancora coloro che, qui vivi tra di noi, portano avanti questo nobile compito.


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Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.

Beati coloro che non sono rigidi di testa e che non hanno applicato alla mente un  paraocchi così stringente da condannare chi non collima con il loro modo di pensare. Beati lo sono ancora perchè conoscendo bene la propria fragilità sanno essere pieni di compassione ed umanità verso il prossimo. Sono persone scese dal piedistallo della loro importanza personale e per questo disponibili  e dal cuore accogliente verso le situazioni che incontrano nella vita. Da loro non potranno mai sorgere guerre mosse da invidia.

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Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.

Beati davvero quelle persone che sanno affrontare ciò che viene loro incontro con l’innocenza di un bambino e senza quei retropensieri che rovinano l’impatto con la realtà. Costoro non bisogna intenderli come incapaci di vedere il male che imperversa nel mondo, ma pur essendone consapevoli vi versano di volta in volta la forza del regno di Dio  perché tutto possa prendere una piega nuova, perché sempre si può e nulla è votato al fallimento. Ai puri di cuore viene promesso di poter poggiare gli occhi su Dio stesso perché hanno guardato agli altri con i Suoi occhi. 


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Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.

Beato chi cercherà in ogni situazione di non ribadire sempre ciò che divide, come per interesse di parte fanno in tanti, ma di far scorgere un cammino di maggiore luce e comprensione per la ricomposizione dei conflitti. La pace per questi operatori è legata fortemente alla consapevolezza d’essere tutti figli della terra e che quindi è davvero inconveniente e distruttivo farsi la guerra: siamo tutti vincolati alla comune umanità e per chi crede in  Gesù Cristo da una comune appartenenza fraterna. Solo così possiamo essere e sentirci liberi da ogni pastoia terrena di assensi o consensi legati ad un’umanità che guarda troppo in basso ed avere la possibilità di scoprire d’essere veramente figli di Dio.

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                                     Shahbaz Bhatti martire

Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

Ed ancora beati quelli che combattono per una giustizia a tutto campo e cioè non solo per quella tra gli uomini ma anche quella che riguarda i rapporti tra l’uomo e Dio. Costoro hanno capito che l’ingiustizia perpetrata contro i fratelli o contro Dio ha un risvolto alcune volte vistoso ed altre volte sottile sulla vita di ogni uomo. Ai perseguitati ed uccisi per la giustizia viene accreditato addirittura il possesso  del regno dei cieli. 

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Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

L’ultima beatitudine è per coloro che hanno ritenuto così importante per la loro vita l’appartenenza a Gesù  da essere disposti a subire qualsiasi persecuzione pur di non finire tra coloro che lo tradiscono.  Sono le donne e gli uomini che si sono abbeverati alla sua acqua viva e che alla sua luce vogliono vedere la luce delle sorti del mondo.

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don Andrea Santoro


Michele Sebregondio
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     Commento dall'incontro di Mercoledi 26 in Abbazia 


 Lc 8 - 22, 25 

«Maestro, maestro, siamo perduti!». E lui, destatosi, sgridò il vento e i flutti minacciosi; essi cessarono e si fece bonaccia.”.Sappiamo dalle sacre scritture che quando Dio ha creato l’universo e la terra tutto era sotto il segno dell’armonia. Nel giardino dell’Eden:Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare” Gen 2 -9 . In questa azione di Dio c’è il cardine interpretativo di ogni relazione tra Dio e l’uomo e la natura: Dio è buono e da Lui non si possono ricevere che cose buone. Se quest’affermazione diventa  l’apriori di ogni nostro pensiero su Dio allora dobbiamo rivedere tutti quei giudizi che gettano su Dio Padre la responsabilità di tutti i nostri mali. Questa è una bella sfida per l’intelligenza che poi sarà di sicuro aiutata da Dio stesso attraverso l’azione dello Spirito Santo a capire che ci troviamo in questa situazione per le nostre azioni ingiuste e per aver dato ascolto al suggeritore diabolico, come è avvenuto per Adamo ed Eva. Gesù all’inizio della sua vita pubblica, e dunque nella maturità dell’arrivo del tempo della salvezza, ci ha fatto vedere come liberarsi dal fastidioso angelo del male. Ora Gesù, bene da Bene,  è uscito da Maria e dall’azione dello Spirito proprio come i nostri progenitori: bello e con il potere di continuare l’azione creatrice di Dio. Non è da meravigliarsi dunque che entrando nella storia dell’uomo Gesù non faccia altro che riprodurre la bellezza e la bontà degli inizi. La sua parola è capace di sedare i venti e calmare le acque. E non solo egli viene a dirci che se abbiamo fede in Lui non possiamo sentirci ‘perduti’ come avevano creduto i discepoli. Ora però dobbiamo chiederci di fronte alle continue morti nelle acque del nostro mediterraneo: ‘ Di sicuro vi saranno stati pure dei credenti che avranno pregato Dio e  come mai sono morti?. O dobbiamo pensare che la loro fede non sia stata così forte da ottenere la salvezza?. Se continuiamo a pensare così arriveremo di sicuro a non credere più in Dio anzi a pensare su di Lui cose malvage (Dov’era Dio?). Quando Gesù dice ‘gente di poca  fede’ ai discepoli voleva loro dire: “Come mai non avete fiducia in me? Non avete visto che con vostra grande meraviglia io risuscito i morti, guarisco i paralitici e dò la vista ai ciechi? Se io sono con voi nulla di male vi potrà accadere.”. Ora per noi è diverso e quella parola di Gesù (‘dell’avere fede’)  dobbiamo intenderla così: se lo seguiamo davvero non ci può accadere nulla che permetta al nostro spirito di sentirsi all’inferno, perduto, ma se anche moriremo sappiamo che in un lampo, come avvenne a Gesù sulla croce, saremo accolti dalle braccia del Padre nel suo regno celeste. Che cosa allora dobbiamo temere? Noi stessi quando non solo operiamo il male, ma attribuiamo a Dio i mali causati da noi. E cosa dobbiamo credere? Che non saremo mai abbandonati sia che si creda in Dio sia che, pur non credendo, spendiamo la vita per i nostri fratelli. Ed oggi di questo abbiamo bisogno e non di cacciare chi,nella grande incertezza della vita chiede il nostro aiuto.

mercoledì 19 ottobre 2016





Lc 7 – 16   Mercoledì 19

Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce


Seguendo la metafora di Gesù ed applicandola al nostro mondo umano capiamo che  la luce di cui parla è quella della verità. E sappiamo che per questa luce, quando attraversa la nostra mente e le nostre viscere, siamo anche disposti a morire piuttosto che rinnegarla. Anzi siamo presi da un bisogno di testimoniarla  agli altri non per allargare la sfera del nostro potere personale quanto piuttosto per una sorgiva naturalezza a somiglianza del fiore  che dona la sua bellezza sbocciando. E tuttavia la luce di questa luce, se vuole calibrarsi con quella di Gesù, deve essere disposta a farsi modellare. Sappiamo infatti che la luce della verità può giocare brutti scherzi in quanto proprio per il sistema molto complicato della nostra mente e del nostro cuore essa può apparire come la vera verità che richiede un assenso così totalizzante da oscurare qualsiasi altro senso di verità. I fondamentalismi di ogni tipo oggi hanno schiere infinite di osservanti. C’è il fondamentalismo di tipo materialistico che non vede oltre il proprio orizzonte attestandosi solo alle cose che può toccare con le proprie mani, c’è quello di coloro che si sono fatti un’idea anche spirituale del proprio essere in questo mondo ma tutto interno alle logiche umane (nascere e morire è un evento naturale ), c’è quello di coloro il cui stare in questo mondo significa solo lottare a beneficio del proprio territorio o della propria religione e così via. Queste luci potenti sono poste oggi sui lucernari del nostro mondo e ne vediamo le infauste conseguenze ogni momento sui mezzi di informazione. La luce di cui parla Gesù è diversa perché non vuole illuminare per costringere ma per  mettere a frutto il bene che ci troviamo in mano che è la nostra stessa vita. Questa luce poi non è qualcosa di astratto ma come dice l’antifona delle lodi di oggi: “Alla tua luce, Signore, vediamo la luce” e cioè alla luce delle parole e della vita di Gesù noi possiamo intendere come fare la verità e come viverla e testimoniarla. Sì, è bene che sia messa la luce sul lucernario perché gli altri possano vederla ma sapete quale è stato il lampadario di Gesù? La sua croce e cioè il vedere fallito sul piano della sua contemporaneità il tentativo di instaurare il regno del Padre. La tentazione vissuta nell’orto degli ulivi è stata quella dell’ascoltare una voce interna che gli diceva: “ A che ti è servita la tua vita, il tuo predicare, il tuo fare miracoli, l’avere avuto dei discepoli, se adesso su tutto ciò cadrà il buio della morte  e cioè del fallimento di tutte le tue iniziative”. Gesù portando avanti la sua testimonianza fino alla fine ha creduto che la luce del suo bene posseduto e donato  e del suo essere unito al Padre non poteva spegnersi e Dio Padre risorgendolo ha confermato ogni raggio di luce proveniente dalla sua esistenza fino al momento del suo morire in croce. Per tornare a noi allora è vero che dobbiamo essere per gli altri luce di questo mondo ma può anche essere che la luce che ci viene chiesta in alcune condizioni sia proprio quella simile alla luce di Gesù irradiata dal lampadario della sua croce: accettazione del fallimento e messa nelle mani del Padre della nostra vita.   Questo modo di intendere la luce cristiana è veramente diversa da qualsiasi altra luce che vuole sempre ed ad ogni costo rimanere sul podio del lucerniere di questo mondo.  

mercoledì 12 ottobre 2016

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Lc 8, 4-15                             


[4]Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola: [5]«Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono. [6]Un'altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità. [7]Un'altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono. [8]Un'altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per intendere, intenda!».[9]I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. [10]Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perchè
vedendo non vedano
e udendo non intendano.
[11]Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio. [12]I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati. [13]Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione vengono meno. [14]Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. [15]Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza.

Lc 8, 4-15 
                            
Nella parabola del seminatore Gesù dice: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano”. E subito ci viene da dire: “Ma come, Signore Gesù, sei venuto per portare il tuo messaggio di luce ed ora parli con le tue parabole in modo che gli altri non capiscano? La prima cosa da dire è che se Gesù non avesse voluto avvicinarsi al cuore dell’uomo peccatore neppure avrebbe parlato in parabole ai duri di cuore, ma solo ai suoi. Se l’ha fatto vuol dire che egli voleva solo andare oltre il momento dell’impatto delle sue parole e cioè voleva che esser restassero a disposizione della loro memoria perché riaffiorassero in un momento più opportuno. Dobbiamo tener presente  che Gesù in molti contesti in cui operava non era gradito anzi si faceva di tutto per andargli contro. La diffidenza dei capi, dei farisei e dei dottori della legge lo accompagnava ovunque. Questi non erano disposti ad accettare la vera semplicità della sue parole di salvezza perché ne avevano altre nel loro cuore. A queste persone dunque Gesù parlava in parabole perché era inutile parlare in modo diverso. O anche si può pensare che era così grande la malignità di cui era attorniato che il fornire loro qualcosa   era come disporli ad atti maligni di appropriazione  e di conflittualità. La ‘parabola’ in greco significa letteralmente "mettere vicino - collocare una cosa di fianco a un'altra" : Gesù in questo modo collocando al  loro fianco la parabola aggira la loro attenzione volta al negativo e non dando  subito la spiegazione prepara loro il terreno per un cambiamento futuro. La parabola poi parla del seme gettato dal seminatore che può cadere o sulla strada o sulle pietre o sui rovi o sulla terra buona. E ad una prima e errata impressione si potrebbe dire: “Bene se il seme cade in un terreno sbagliato che colpa ne hanno gli altri terreni?”. E fuori metafora se il tessuto umano in cui cade la parola di Dio è quello che è, e cioè negativo, come lo si può condannare poi se continua ad agire male? Solo che a livello umano il terreno può cambiare da un momento all’altro come frutto di una libera decisione. Per cui rimane vero quello che dice Gesù quando afferma che la parola di Dio fruttifica solo sul terreno buono. La prova l’abbiamo nel buon ladrone che pur con la sua vita disastrata ha potuto beneficiare del perdono perché alla visione di Gesù crocifisso ha deciso di diventare buon terreno volgendo il suo cuore al bene e non al male.

                                                       Mercoledì 12 0ttobre 2016    

martedì 11 ottobre 2016

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 Lc 7, 18-27    mercoledì 22 settembre                                          
[18]Anche Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutti questi avvenimenti. Giovanni chiamò due di essi [19]e li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?». [20]Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?». [21]In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. [22]Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella[23]E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!».
[24]Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù cominciò a dire alla folla riguardo a Giovanni: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? [25]E allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano vesti sontuose e vivono nella lussuria stanno nei palazzi dei re. [26]Allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. [27]Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco io mando davanti a te il mio messaggero,

                                                           

Gesù si fa precedere lungo la linea di comprensione del disegno divino da Giovanni Battista. Ci colpisce questo suo farsi annunciare dal momento che avrebbe potuto dire : “Ecco sono arrivato io e vi spiego tutto”. Dobbiamo imparare tanto da questo suo modo di entrare nella realtà umana e cioè sempre in modo delicato e non in contrapposizione con chi l’ha preceduto. Anzi anche se il suo messaggio è diverso da quello di Giovanni Battista Egli lo indica come un grandissimo uomo e cioè gli dà onore. Avrebbe potuto dire: “Giovanni aveva in mente una idea di Dio che punisce mentre io vi porto ben altro!”. Ed invece nulla di tutto ciò ma grazie ad una profonda lettura della vita di Giovanni lo vede plasmato da una delle tradizioni che lo hanno preceduto. Ciò ci porta a considerare il modo con cui ci rapportiamo spesso con coloro che la pensano diversamente da noi: li riduciamo solo ad un nucleo di idee da combattere senza considerarli nei loro vissuti che spesso sono portatori di  importanti lezioni di vita. Gesù elogia il suo stile anche se non sarà il suo: “E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto.”. (Mt 18,32) Che meraviglia questo rispetto, questo indicarlo come un grande. Giovanni rappresenta un prima rispetto ad un dopo, egli è lo spartiacque tra l’Antico ed il nuovo Testamento e per noi potrebbe significare che senza un prima ed un dopo nella comprensione della vita potremmo credere che tutto ciò che abbiamo pensato e fatto sia in una logica naturale del vivere. Ebbene non può essere così perché ciò che viene dal basso (dal prima) , e cioè da noi, non è illuminato da ciò che viene dall’alto e cioè da Dio. Per entrare davvero nella vita di Dio deve esserci per forza una cesura, un taglio che definisca il passaggio dal nostro mondo a quello di Dio. Giovanni Battista pur essendo pieno di Spirito santo anche lui ha vissuto nella sua carne il suo essere prima e nello stesso tempo il suo essere superato dalla figura di Gesù e se ne accorge quando i discepoli anziché riferirgli che era arrivata la scure di Dio su questa terra, e cioè il suo Messia, gli vengono a dire che: “ I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella.”. Quando Gesù dice di riferire a Giovanni ciò che i loro occhi hanno visto è perché egli compia in cuor suo il passaggio tra un prima di un Dio giusto e vendicatore ed un dopo di un Dio misericordioso sceso su questa terra per cercare la pecorella smarrita e portarla a salvezza,  e Giovanni sicuramente questo passaggio prima di morire per mano di Erode l’avrà fatto. 
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Lc 7, 11-17     mercoledì 14 Settembre 2016

[11]In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. [12]Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. [13]Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». [14]E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». [15]Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. [16]Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». [17]La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.


Gesù fa risorgere il figlio di una vedova. Lo muove la compassione verso la madre e così gli ridà il figlio. Occorre anche rivedere la scena in cui Gesù si muove in un contesto pubblico rigidamente integrato in regole precise che Gesù trasgredisce perchè tocca la bara. Ora sappiamo che un ebreo non può toccare una bara perché diventa impuro. Gesù va oltre. Le regole umane non possono fermare chi è mosso da compassione. Compassione per una vedova che aveva perso il suo unico figlio. Gesù ora non è tra noi perché è passato da questa vita a quella del suo Regno ma ha lasciato a  noi il compito di continuare la sua missione. Noi dobbiamo continuare la vita di Dio su questa terra. Tremenda responsabilità che ci vede completamente inadeguati. Gesù ci direbbe che abbiamo proprio ragione, ma Lui non vuole la nostra forza, ma che gli offriamo la nostra debolezza per diventare cooperanti nei miracoli che Lui vuole compiere.  Dal canto nostro l’essere piccoli può giocarci un brutto scherzo e cioè quello di entrare nelle situazioni sentendoci troppo umani per intraprendere con l’aiuto di Dio qualcosa di grande. Eppure il Signore Gesù ci chiede di portare nel mondo non le nostre tenebre ma la Sua luce. Il fatto poi che non ci capita di resuscitare i morti o di operare delle guarigioni non deve abbatterci perché non è la cosa più importante. A noi viene chiesto solo di affinare il nostro essere in modo da essere disponibili verso la sofferenza degli altri. Gesù si muove a compassione perché ha legato la sorte del suo essere a quella degli uomini e così anche noi suoi discepoli siamo chiamati a percorrere la stessa strada. Sebbene queste righe non vogliono entrare nella gestione dei problemi politici, tuttavia, davanti alla sofferenza di tanti popoli e delle persone che sono cacciate dalle loro terre dalla fame e dalla guerra, dobbiamo chiederci se quella compassione di Gesù provata davanti ad un ragazzo morto, non si esprimerebbe nello stesso modo davanti alle catastrofi immani alle quali assistiamo. Un cristiano allora non può volgere le spalle di fronte ai rifugiati perché sa che il suo essere accogliente sarà benedetto e sarà fonte di nuova vita per tutti. 
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Lc 7, 11-17     mercoledì 14 Settembre 2016

[11]In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. [12]Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. [13]Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». [14]E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». [15]Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. [16]Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». [17]La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.


Gesù fa risorgere il figlio di una vedova. Lo muove la compassione verso la madre e così gli ridà il figlio. Occorre anche rivedere la scena in cui Gesù si muove in un contesto pubblico rigidamente integrato in regole precise che Gesù trasgredisce perchè tocca la bara. Ora sappiamo che un ebreo non può toccare una bara perché diventa impuro. Gesù va oltre. Le regole umane non possono fermare chi è mosso da compassione. Compassione per una vedova che aveva perso il suo unico figlio. Gesù ora non è tra noi perché è passato da questa vita a quella del suo Regno ma ha lasciato a  noi il compito di continuare la sua missione. Noi dobbiamo continuare la vita di Dio su questa terra. Tremenda responsabilità che ci vede completamente inadeguati. Gesù ci direbbe che abbiamo proprio ragione, ma Lui non vuole la nostra forza, ma che gli offriamo la nostra debolezza per diventare cooperanti nei miracoli che Lui vuole compiere.  Dal canto nostro l’essere piccoli può giocarci un brutto scherzo e cioè quello di entrare nelle situazioni sentendoci troppo umani per intraprendere con l’aiuto di Dio qualcosa di grande. Eppure il Signore Gesù ci chiede di portare nel mondo non le nostre tenebre ma la Sua luce. Il fatto poi che non ci capita di resuscitare i morti o di operare delle guarigioni non deve abbatterci perché non è la cosa più importante. A noi viene chiesto solo di affinare il nostro essere in modo da essere disponibili verso la sofferenza degli altri. Gesù si muove a compassione perché ha legato la sorte del suo essere a quella degli uomini e così anche noi suoi discepoli siamo chiamati a percorrere la stessa strada. Sebbene queste righe non vogliono entrare nella gestione dei problemi politici, tuttavia, davanti alla sofferenza di tanti popoli e delle persone che sono cacciate dalle loro terre dalla fame e dalla guerra, dobbiamo chiederci se quella compassione di Gesù provata davanti ad un ragazzo morto, non si esprimerebbe nello stesso modo davanti alle catastrofi immani alle quali assistiamo. Un cristiano allora non può volgere le spalle di fronte ai rifugiati perché sa che il suo essere accogliente sarà benedetto e sarà fonte di nuova vita per tutti. 


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        Lc 7, 1-10                    mercoledì 20 luglio 2016


[1]Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. [2]Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. [3]Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. [4]Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, [5]perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga». [6]Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; [7]per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. [8]Anch'io infatti sono uomo sottoposto a un'autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all'uno: Và ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fà questo, ed egli lo fa». [9]All'udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». [10]E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.


Il vangelo ci parla della guarigione di un servo che grazie alla preghiera del suo padrone, un centurione romano, fa dire a Gesù: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». (Lc, 7, 9). Ma cosa era successo per farLo meravigliare così tanto? Anzitutto l’amore del centurione verso il suo servo e poi il suo essere convinto che bastasse una  parola di Gesù detta a distanza per ottenere il miracolo. Per capirci qualcosa pensiamo al nostro modo usuale di pensare ad un miracolo. Noi incorniciamo sempre l’ottenimento di una un miracolo all’interno di un rituale e cioè della presenza sia del malato che del guaritore il quale deve fare comunque qualcosa o toccare il malato o rivolgergli direttamente la parola. Qui non c’è niente di tutto questo perché il centurione dice a Gesù che può guarire il suo servo a distanza e senza che venga a casa sua. Da qui capiamo che per Gesù può accadere che  il tempo e lo spazio non contino più perché egli ha il potere di accedere ad un mondo di forze che sono ai suoi comandi e che operano per Lui, poi che Egli concede la guarigione in forza della fede del centurione. Ciò significa che per ottenere qualcosa da Dio occorre  che chi chiede deve crederci davvero. Ora ci si potrebbe chiedere come mai un pagano come il centurione potesse avere una fede così forte ed allora scopriamo che questi era uno che amava il popolo d’Israele tanto d’avere costruito una sinagoga. Il bene compiuto deve essere stato il motore da cui deve essere partito tutto. Ciò per noi significa che qualsiasi uomo, appartenente alle più diverse ideologie e religioni, se opera il bene questo gli viene iscritto nei cieli e diventa per lui un’occasione in questo mondo di una crescita e di una apertura di orizzonti sempre più soddisfacenti per la sua umanità.Questo è il mondo a cui  Gesù ci chiama, un mondo in cui l’affidamento alla sua persona ha il potere di rendere la  vita migliore sotto tutti gli aspetti.   
    
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Lc 6, 39 – 42  mercoledì 13 Luglio 2016

[39]Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca? [40]Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.[41]Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? [42]Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.



“Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.” . Gesù ci invita a fare un lavoro interiore profondo per liberarci dalla trave presente nel nostro occhio. E la domanda è: “Questa trave ce l’abbiamo tutti o solo alcuni?”. Purtroppo non c’è donna o uomo che non ce l’abbia. Ed ancora: “ Se ce l’avessimo davvero come mai non ce ne accorgiamo?”. Bella domanda a cui occorre rispondere con sincerità e verità. Nasciamo in un contesto storico, in una famiglia e portiamo avanti fin da piccoli la visione del mondo che riceviamo dai genitori. Salvo rari casi di santità, che consiste in un rapporto di filiale ricezione delle parole divine  ed in una correzione paterna da parte del Creatore, crediamo che ciò che abbiamo appreso e verificato nel nostro piccolo circuito di vita sia sempre il modo corretto con cui giudicare ed interagire con gli altri. Chi vuol seguire Gesù deve invece capire che quasi la totalità delle cose che ci passano per la mente costituiscono l’asse portante della trave che oscura la  vista. Se le cose sono davvero così capite bene che la nostra situazione esistenziale deve davvero essere ribaltata. Ma come possiamo convincercene? Dove possiamo trovare un medico capace di operarci proprio nell’organo della vista che per noi a questo punto significa o non vederci più perché il medico non ci sa fare oppure recuperare una capacità di visione tale che ci permetta non solo di vivere bene ma anche di aiutare i nostri fratelli a liberarsi di ciò che li fa soffrire? Ecco a Chi dobbiamo affidarci, a Gesù : “Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. “ (Lc 6 47-48) . Gesù ci invita a scavare profondo, a rivedere da dove è partita la nostra vita, che cosa ci è stato insegnato, quali sono i valori su cui facciamo affidamento. Un aiuto ci può venire dall’analisi dei nostri fallimenti, ma di più dal mettere la nostra vita in controluce con quella di Gesù per vedere se siamo animati dallo stesso spirito. Ma oggi c’è mai qualcuno che sia disposto a farlo davvero?
   
                                                                                    
                                                                   
   
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Lc 6, 6-11                                                    mercoledì 22 giugno 2016


[6]Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c'era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. [7]Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. [8]Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Alzati e mettiti nel mezzo!». L'uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato. [9]Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: E' lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?». [10]E volgendo tutt'intorno lo sguardo su di loro, disse all'uomo: «Stendi la mano!». Egli lo fece e la mano guarì.[11]Ma essi furono pieni di rabbia e discutevano fra di loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.


Il tema è quello di Gesù ed il sabato di cui si proclama Signore. Per gli ebrei nel giorno di sabato era proibito fare delle azioni e nel nostro caso era ritenuto proibito guarire in giorno di sabato. Gesù guarisce un uomo che aveva la mano paralizzata e con le sue sole parole («Stendi la mano!»)  cambia la realtà fisica dell’uomo. Gesù parla con autorità perchè ciò che dice fa e ciò che fa corrisponde alle sue parole. Oggi abbiamo tutti bisogno del modo d’essere di Gesù perchè tra  il nostro dire ed il nostro fare ci passa davvero il mare. La nostra parola non è capace di cambiare la realtà semplicemente perchè non crediamo che possiamo farlo. Preferiamo darci all’arte dell’interpretazione  perché la troviamo più confacente al nostro modo mentale di affrontarla e così perdiamo la vita vera e tutto ciò poi ci serve per altre interpretazioni.  Il brano però non è solo finalizzato a farci vedere il miracolo della mano guarita ma a renderci liberi di fronte alle leggi quando queste si oppongono alla vera vita dell’uomo. Bene fa l’Italia a salvare dalla morte coloro che vogliono raggiungere il nostro paese e male fanno tutti coloro che in nome delle più svariate motivazioni preferirebbero magari evitare qualsiasi tipo di soccorso per scoraggiare i migranti che si mettono in mare. Da una parte dunque quelli che vorrebbero votare leggi respingenti, dall’altra coloro che pur percependo la complessità del problema, non ritirano la mano nel momento in cui c’è bisogno di darla. E credo che il Signore stia benedicendo l’Italia solo per questa potente e buona operazione umanitaria.