martedì 2 dicembre 2008

CHI E' VICINO A GESU'

Passi dei parenti di Gesù

[20]Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. [21]Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E' fuori di sé».

I veri parenti di Gesù

[31]Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. [32]Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». [33]Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». [34]Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! [35]Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

Qui è da chiedersi : chi è davvero ‘fuori’? La parola ‘fuori’’ ripetuta tre volte ci obbliga a chiederci chi in quella situazione era veramente fuori. Gesù non ha dubbi e con l’interrogare i presenti ci dice senza mezzi termini che è fuori colui che non si trova inserito lungo l’asse della volontà di Dio. Egli in quel momento la stava facendo perché un momento prima aveva scacciato i demoni tanto da far intervenire gli scribi che lo accusavano di cacciarli in nome di Beelzebùl. Con la sua risposta egli si rende indipendente da qualsiasi legame riferito all’ordine del sangue. Gesù è l’uomo libero che afferma non una libertà disconnessa da qualsiasi legame ma solo da quello che vorrebbe allontanarlo dal Padre. Il chiamare in causa Dio e la sua volontà è per lui un appello a chi vuole seguirlo per essergli veramente vicino per un comune destino di verità di giustizia e di amore. Chi lo segue così quindi realizza una unità che ha qualcosa di più forte di tutti legami carnali ma nello stesso tempo li richiama come per darcene una cifra approssimata.

martedì 25 novembre 2008

Mc 2, 20-30

[20]Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. [21]Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E' fuori di sé». [22]Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». [23]Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? [24]Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; [25]se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. [26]Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. [27]Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. [28]In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; [29]ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». [30]Poiché dicevano: «E' posseduto da uno spirito immondo».


Due mondi che si escludono a vicenda non possono coesistere assieme e quindi dove arriva il regno di Dio non può esservi quello dei demòni. Gli scribi a loro sono inescusabili volta perché non vogliono vedere che la realtà stessa è cambiata proprio davanti ai loro occhi. Ora però avvicinandoci da quella alla nostra realtà siamo invitati a discernere le forme attraverso cui, anche se in forme meno appariscenti, prende forma tra noi il mondo dei demoni. Vi prende forma tutte le volte che la vita di un uomo si allontana da Dio rimanendo privo di tutti gli aiuti che il Regno mette a disposizione di coloro che vi partecipano. Quando improvvisamente il nostro sistema immunitario difeso dagli angeli santi viene da noi colpevolmente disattivato ecco che poi ci troviamo a fare cose che non vorremmo fare dando agli spiriti immondi l’occasione di materializzarsi. Questo quando dipende da noi ma vi sono casi in cui come Gesù ci troviamo di fronte agli spiriti immondi degli altri. Come comportarsi allora? Ignorarli? Che cosa fa il Maestro? Egli entra in relazione con gli scribi e risponde alle loro provocazioni perché il suo fine non è la condanna ma la salvezza di ogni uomo che incontra. Dovrebbe essere così anche per noi ma solo una vita spirituale fortemente vissuta e una profondo legame d’amore con il Maestro potrà metterci in relazione con il suo Spirito per capire come comportarci.


martedì 18 novembre 2008


Istituzione dei Dodici


Mc 12

[13]Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. [14]Ne costituì Dodici che stessero con lui [15]e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni. [16]Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; [17]poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; [18]e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo [19]e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.


Gesù chiama in disparte chi ama e non come esclusione di chi non è scelto ma in previsione di scegliere anche coloro che sembrano esclusi dalla prima chiamata. Gesù non predica un radicalismo religioso dove la cosa più importante è il rapporto diretto con Dio con la messa tra parentesi del contesto umano in cui esso accade. Egli non offre strumenti per ottenere l'illuminazione ma una via storica in cui è fondamentale il rapporto con lui e con i destinatari del suo messaggio di salvezza. Gesù infatti quando chiama qualcuno lo fa sempre in relazione al servizio che potrà rendere agli altri. Inoltre non chiama a caso ma guardando il cuore, il volto e l’essere totale delle persone che chiama: 'chiamò a sé quelli che egli volle'. Questo ci consola perché anche quando chiama noi non chiama un numero ma la nostra persona per intero e per sempre e non finchè gli serve una nostra capacità o qualità. C’è per ultimo una relazione stretta tra l’essere chiamati in disparte per stare con lui e la missione. Non si può infatti esercitare la missione senza mantenere forte e costante un rapporto con il Signore.
GABRIELE PATMOS

mercoledì 5 novembre 2008


La nostra pratica

Paolo in Filippesi 2 afferma : “[14]Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, [15]perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo, [16]tenendo alta la parola di vita.” Noi quindi siamo invitati a risplendere come astri nel cielo ma questo ci riuscirà solo mettendo al centro della nostra vita la parola di Dio e la sua pratica. Parola che è difficile a comprendersi soprattutto quando si manifesta attraverso vicissitudini che ci colpiscono direttamente. Il Card. Martini nel suo libro ‘Conversazioni notturne a Gerusalemme? così scrive: “ Ho interrogato Dio come fanno anche i salmi: perché deve essere così? Poi mi è stato concesso di sentire ancora che dal dubbio nasce qualcosa di nuovo…….Naturalmente occorre molta fiducia in Dio, ma spesso si parte da dubbi, da domande.”. Anche la nostra lettura della Parola non vuole avere la pretesa di una comprensione immediata, ma solo la disposizione interiore di affrontare con fiducia anche il deserto del non senso perché sa che i propri dubbi e le proprie domande sono il terreno fecondo attraverso cui Dio ci farà pervenire le sue risposte.

Le folle al seguito di Gesù

[7]Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. [8]Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. [9]Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. [10]Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. [11]Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». [12]Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.
Da completo sconosciuto Gesù in poco tempo attira l’attenzione di folle provenienti dagli antipodi della Palestina come per noi sono la Sicilia ed il Piemonte. E’ il suo un apparire travolgente anche perché in lui opera una potente forza che guarisce molti. E’ il momento della manifestazione che è l’opposto del suo nascondimento. Una manifestazione da far comprendere e gestire in modo che nessuno potesse catturarlo in un ruolo che non era il suo ad es. quello di guaritore. Egli guariva sì ma il suo messaggio andava molto oltre. Plasticamente ciò viene evidenziato nel suo spostarsi sulla barca da dove poteva parlare e non solo guarire. Si capisce così perchè egli sgridi gli spiriti immondi. Gesù non vuole diventare un fenomeno da baraccone gestito dagli appetiti o dalle strategie nascoste di chi gli vuole male. E gli spiriti immondi non sono certo spiriti che amano il Signore e il loro intento quindi di intervenire sul modo come egli voleva farsi conoscere dal popolo di Israele non è che uno dei tanti modi attraverso cui essi lo avversavano. Gesù non ama le folle o meglio le ama cercando di umanizzarle. Ricordiamoci dell’episodio della moltiplicazione dei pani quando divise quelle migliaia di persone in gruppi di 50 o di 100. Nello stesso modo vuole che i suoi miracoli abbiano una ricaduta sul piano della relazione. Anche noi facciamo così quando vogliamo da Dio miracoli ma senza entrare in una vera relazione. Il tempo che abbiamo a disposizione in questa vita dovrebbe servirci ad esplorare l’infinita bellezza e l’esaltante percorribilità di un rapporto non con un Dio astratto, ma con uno fatto di carne ed ossa come noi.

sabato 1 novembre 2008


La nostra pratica

“ Durante la meditazione noi ci disponiamo ad accogliere la Parola di Dio lasciando cadere ogni preoccupazione circa la nostra capacità di comprenderla. Noi infatti confidiamo nel suo Autore e sul fatto che se ha voluto rivolgerci la sua Parola è perchè risuoni dentro di noi piena di significato. Inoltre grazie a ciò che della Parola avremo capito o alle domande o ai dubbi che essa avrà suscitato in noi potremo poi procedere ad approfondimenti di ampio respiro che la collochino nel contesto di tutta la Bibbia e nella comprensione che oggi ne ha la Chiesa. Vogliamo insomma che la Parola raggiunga la nostra persona come se fosse la prima volta proprio perché essa, pur essendo stata accolta e vissuta dall’umanità passata, deve essere di nuovo ascoltata da quella presente perché possa prendere corpo oggi nella nostra vita e nella società di cui facciamo parte.”


[23]In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. [24]I farisei gli dissero: «Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?». [25]Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? [26]Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?». [27]E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! [28]Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato».

La Legge è stata data da Dio e quindi è buona perché riguarda essenzialmente l’alleanza fatta con il popolo d'Israele. Gesù stesso dice che neppure un suo iota andrà perso. La legge ha essenzialmente due funzioni la prima è quella di introdurre alla nuova alleanza portata da Cristo e la seconda quella di convincere l’uomo che egli è peccatore come ben ci ha fatto riflettere Paolo. In Gesù noi troviamo il cuore della Legge, e cioè quel cuore che l’ha pensata per aiutare l’uomo ad essere più umano e giusto, ed il metro per poterla interpretare correttamenete. Gli uomini hanno la tendenza a rendere piatto e senza cuore tutto ciò che è frutto delle intenzioni più nobili. Nel caso della legge divina essi per lo più non le permettono d’essere un vero aiuto e non un peso. Gesù non vuole che i suoi discepoli diano culto a Dio attraverso l’osservanza del sabato quando sono in gioco i bisogni fondamentali dell’uomo. Questo modo di pensare di Gesù dovrebbe farci riflettere su come ci rapportiamo alle regole. Le generazioni postsessantottine non corrono il rischio del rigorismo ma dell’insofferenza ad ogni sorta di regole perché vogliono vivere fino in fondo l’esperienza della libertà. Purtroppo se non si recupera un corretto rapporto con le regole sarà difficile avere un rapporto vero e profondo con i nostri simili. In un mondo di pari infatti tutto si gioca sul modo come noi viviamo le regole e cioè su come noi le riempiamo o le svuotiamo di senso. Da Gesù non abbiamo appreso a disprezzarle ma a renderle umane e cioè a viverle con quelle eccezioni che sono il modo migliore per affermarle salvo nei casi in cui esse sono completamente da abolire.

GABRIELE PATMOS

venerdì 24 ottobre 2008

IL DIGIUNO


La nostra pratica


La lettura della Parola di Dio va dall’Antico al Nuovo testamento. Solo in quest’ultimo però si trovano le chiavi interpretative dell’Antico. E’ come se si leggesse un romanzo che ha solo nella parte finale la chiave delle pagine precedenti.


[18]Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». [19]Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. [20]Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. [21]Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. [22]E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».



Il digiuno è una pratica molto lontana dalle nostre abitudini e oggi vi rientra solo per dei motivi che non hanno nulla a che fare con la religione. Pensiamo ad es. ai digiuni per dimagrire. Se non digiuniamo però molte volte cerchiamo di avvicinarci al Signore privandoci di qualcosa. Dio però non ha bisogno delle nostre cose piuttosto è Lui che ce le dà. Questo brano di Marco ci permette di metter a fuoco questa grande verità e cioè che l’unico modo per toglierci dall’inquietitudine per una mancata relazione con Dio non è quello di dargli dei nostri sostituti ma noi stessi. Solo così possiamo vivere in presenza dello sposo ed essere veramente nel posto giusto senza altro bisogno se non di gioire con Lui. Quando verranno i momenti bui allora si capirà cosa fare ma finchè non li viviamo dobbiamo approfittare e stare al cospetto del Signore sempre.


GABRIELE PATMOS

Secondo quanto apprendiamo da rav Reuven Roberto Colombo gli ebrei digiunavano per questi motivi: “Tutte le volte che si è trovato a dover fronteggiare un pericolo, il popolo ebraico ha digiunato. Così troviamo che Moshè ha digiunato prima di entrare in guerra contro Amalèk. La ragione di questi digiuni è per affermare che l’uomo non deve prevalere grazie alla sua forza fisica, ma è solo grazie alla misericordia divina, che si ottiene pregando, che l’uomo può sperare di prevalere e vincere in battaglia. Questo, quindi, era anche lo scopo del digiuno osservato da Israele ai tempi di Hamàn e in ricordo di quel digiuno venne istituito un digiuno annuale da osservare in tutte le generazioni lo stesso giorno. Tramite esso sottolineiamo che D-o accetta la preghiera e il pentimento di ogni persona sia nel momento di pericolo che in quello del bisogno. “. Gesù non ha niente contro questo digiuno ma la sua risposta ci fa capire che nella storia è entrato qualcosa di più che la richiesta da parte degli uomini di un aiuto: è entrato lo Sposo divino. La grandezza di questa prospettiva ci fa capire come sia impossibile digiunare quando si è in festa. Gesù però continua dicendo che quando lo sposo non ci sarà più verrà il tempo del digiuno. I discepoli avrebbero dovuto quindi reintrodurre il digiuno dopo la sua ascensione cosa che hanno fatto. Tuttavia se ben guardiamo Gesù non ci ha lasciati soli perché lo sposo lo abbiamo sempre con noi nell’Eucarestia. Se dunque attraverso questa forma lo sposo è sempre con noi percè digiunare? Se infatti siamo nella gioia per la sua presenza come stare in una situazione di privazione se ogni privazione ci intristisce? Forse occorre entrare nelle pieghe della nostra umana realtà per capire come qualcosa che all’apparenza risulta depressiva possa invece cambiare di segno e diventare, non un mezzo per obbligare il divino Dio a darci qualcosa, ma un modo attraverso cui noi offriamo qualcosa di nostro a Dio facendo partecipare non solo la mente e il cuore, ma anche il corpo. Il digiuno allora diventa il nostro modo fisico per dirgli di sì e che ci teniamo a lui non solo a parole ma anche attraverso qualcosa che ci costa. Il digiunare è un modo diverso di declinare la gioia della sua presenza perché proprio nella mancanza, se davvero lo facciamo per aprire un vero canale di amore verso di Lui, troviamo l’appiglio fisico per legarci in modo costante (sull’onda della privazione che dal profondo ci interpella per un significato) al polo a cui abbiamo lanciato il nostro dono e cioè allo Sposo. Ecco perché non si può digiunare essendo tristi perché non testimonieremmo la gioia d’essere alla presenza dello Sposo. Il digiuno non è un obbligo, è un consiglio e non deve essere usato in modo masochistico per punirsi di qualcosa perché la sua gestione è solo una questione di rapporto con il Signore. Solo alla sua presenza possiamo capire se farlo e come farlo. Ora però ci si potrebbe ancora chiedere ma perché non puntare sempre a vivere la gioia che proviene dall’essere con lo sposo? Che bisogno c’è di inventarsi questa via privativa? La risposta è che una nostra parte della vita è esposta al sole e un’altra all’ombra ed è per questo che troviamo conveniente che la nostra umanità viva il suo rapporto con Dio da queste due prospettive. Un’ultima riflessione sul senso del digiuno ci porta a pensare che dal punto di vista simbolico il viverci sempre pieni di cibo abbia il potere di saturare anche le nostre capacità spirituali tanto da renderci indisponibili verso altre visitazioni meno materiali.

GABRIELE PATMOS

giovedì 16 ottobre 2008

Milano - Abbazia di Chiaravalle - Mercoledì 7-10-2008

La nostra pratica


Il rilassamento prima della lettura della Parola serve ad allontanare la nostra attenzione dai pensieri o dagli stati d’animo che sono contrari al silenzio interiore. Il concentrarsi sulle varie parti del corpo è come il completo aprirsi di una finestra alla luce del sole. La luce fugando le ombre farà diventare visibile tutto ciò che sta dentro la stanza e così nello stesso modo attraverso la concentrazione progressiva sulle varie parti del corpo è come se le dotassimo di una nuova consapevolezza. In effetti la concentrazione permette una sensibilizzazione di quelle parti che così vengono maggiormente irrorate dal sangue. In questo modo esponendo il nostro corpo fisico e i suoi sensi spirituali ad un clima di tranquillità noi ci prepariamo nel modo migliore e nel silenzio all’ascolto della Parola di Dio.







Chiamata di Levi e pasto con i peccatori
Marco 2, 13-17



Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. [Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?». Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori».



Il Signore esce sempre di nuovo verso di noi: non si ferma mai dal venirci incontro e chiamarci. Ci chiama senza guardare ai nostri meriti o demeriti. Egli non è attirato dai buoni ma da coloro che non hanno mai ricevuto dal loro ambiente una vera chiamata che apra di fronte a loro nuovi orizzonti. Questo sgarbo verso la meritocrazia Gesù la opera per offrire in modo chiaro e netto una visione dell’essere umano come di un essere che non ha alcun merito per il bene che ha dentro dal momento che gli è stato donato dal Padre. L’uomo gioca se stesso solo nel momento in cui accetta o non accetta questo dono. Gesù chiamando Levi gli indica per la prima volta il bene che ha dentro e senza giudicarlo lo invita ad una nuova vita. Con il suo invito accorcia in modo drastico le distanze che le consuetudini difensive degli uomini frappongono nei confronti di coloro che reputano ormai perduti. Il Maestro così ci insegna ad avvicinare il nostro prossimo con la stessa sua divina accelerazione. Inoltre con quel legare la sua venuta alla chiamata dei peccatori ci pone davanti ad un dilemma: noi siamo giusti o peccatori? Dalla risposta a questa domanda potremo capire molto di noi stessi e del nostro rapporto con il Signore.


Gabriele Patmos

mercoledì 8 ottobre 2008

GUARIGIONE DEL PARALITICO



Le quattro persone che portano il lettuccio si danno molto da fare, sono loro che scoperchiano il tetto, calano il malato… E Gesù, vista la loro fede, dice quel che dice e fa quel che fa. Talvolta dunque non è il malato a dover mostrare la sua fede ma chi lo ha preso in consegna. Siamo noi che dovremmo affidare un amico a Gesù, un malato, un povero… Questo testo mi fa pensare che d’ora in poi dovremmo farci carico di qualcuno - anche senza che egli lo sappia - magari uno zingaro, un povero che incontriamo al semaforo, un volto visto in Tv mentre soffre o mentre sbarca a Lampedusa…. presentiamolo a Gesù sul suo lettuccio come fosse il nostro paralitico. E di certo Gesù gli dirà: alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua.

Giusy Deiana

mercoledì 1 ottobre 2008

GUARIGIONE DEL PARALITICO




Marco - Capitolo 2

[1]Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa [2]e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. [3]Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. [4]Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. [5]Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». [6]Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: [7]«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?». [8]Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? [9]Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? [10]Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, [11]ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua». [12]Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».



Gesù perdona i peccati. ma cosa significa in realtà questo perdono che nella forma in cui è formulato sembra che ci scivoli addosso senza lasciare in noi traccia alcuna? La congiunzione di alcuni vocaboli in forme trite e ritrite non ci incuriosisce nè ci invita ad una sosta per rintracciarvi un significato più pieno e che ci tocchi nel profondo. Gesù non solo ha offerto al paralitico la gioia di passare un momento importante della sua vita con lui, ma è andato più a fondo con quel: 'Figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati'. Anzitutto in contrasto con le attese dei presenti sposta l'attenzione dai mali del corpo a quelli dell'anima sintonizzandosi più profondamente di tutti i presenti con la radice vera di ogni suo male. Egli era legato al suo lettuccio da qual cosa di più terribile che una paralisi esteriore. Il paralitico infatti in tutta la scena è muto, non parla, ma nel vangelo non si dice che egli fosse muto. La parola di Gesù lo richiama alla sua realtà e cioè quella di girare a vuoto in un letto pieno di disperazione da cui non riesce ad uscire. Il peccato del passato non gli permette di affrontare una vita nuova. Gesù quindi ha il potere di ridarci la vita sciogliendo quei nodi del passato che non riusciamo a sciogliere. Chi ha fede in lui sa di aver ricevuto quel perdono ma sa pure che quel perdono opera ancora nel presente. La vita che Dio ancora ci dona fa riaffiorare in noi spezzoni di vita già redenta del passato ma che devono diventarlo a tutti gli effetti anche nel presente. Il ritorno al passato da figlio di Dio riconciliato ci permette non solo ringraziare sempre il Signore perchè ci ha liberati ma anche di misurare la profondità dell'abbaglio in cui si era caduti e di riconoscere come in noi anche nel presente vi sia sempre un fronte di fragilità che echeggia quel passato che per grazia di Dio è stato sanato. Questo rivedere i peccati alla luce del perdono non solo serve a noi come via per una resurrezione sempre più consapevole, ma può anche aiutarci a capire il nostro prossimo.

GABRIELE PATMOS

sabato 27 settembre 2008

GUARIGIONE DEL LEBBROSO


Mc 1, 40-45

Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

Gesù guarisce il lebbroso che con forza gli ha chiesto la guarigione. Se quindi si vuole veramente essere liberati dai propri mali occorre chiedere con forza e sicuramente si avrà una risposta. Quel ‘lo voglio’ di Gesù ci spalanca le porte su come un desiderio possa diventare realtà. Il volere del Maestro è legato al suo desiderio di guarire chi si rivolge a lui. A noi fa veramente impressione questo suo potere, che è pieno, ricco di una potenzialità realmente operante. Gesù esercita un potere che non è violento ma attivato dalla compassione che è una forma più raffinata dall’amore. Noi uomini siamo più inclini ad essere mossi dall’amore e cerchiamo di tenerci Il più possibile alla larga dalla compassione per non farci sopraffare da richieste a cui crediamo di non potere dare una risposta. Ora cerchiamo di metterci nei panni del lebbroso e di interpretare meglio la qualità della sua richiesta sicuramente vera ma che ha un qualcosa di abitudinario come le richieste che siamo abituati ad ascoltare dai nostri poveri. In metropolitana, per dire un luogo chiuso dove si possono sentire bene le loro richieste, si può notare come da una parte chiedono per ottenere ma dall’altra sono costretti a recitare un copione il cui senso è : “chiedo ma so che la mia richiesta non sarà esaudita”. Tutto ciò per dire che in loro si sedimenta una profonda convinzione negativa e cioè quella in cui essi disperano d’avere ciò che desiderano. Ora riconsideriamo la richiesta del lebbroso che era sì vera ma nel fondo portava con sé la convinzione di non poter essere esaudita. Il Signore Gesù sapeva tutto ciò e lo guarisce proprio nel corpo per poter raggiungere in profondità il suo spirito. Il lebbroso che non riesce a stare zitto e deve dire a tutti d’essere stato guarito ci testimonia questo salto incredibile dall’incredulità ad una fede che spacca le montagne. Insomma molte volte il Signore conoscendo la nostra incapacità di credere solo in forza dei ragionamenti, ci aiuta sul piano materiale. Se quindi siamo messi male nel credere alla possibilità che qualcosa cambi nella nostra vita almeno lasciamo che una parte di noi, quella più dolorosa, pronunci le stesse parole del lebbroso: “«Se vuoi, puoi guarirmi!».
GABRIELE PATMOS