martedì 6 dicembre 2016

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Lc 9, 1-6  lunedì 7 Dicembre 2016

[1]Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. [2]E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. [3]Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno.[4]In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. [5]Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi».[6]Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni. [7]Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», [8]altri: «E' apparso Elia», e altri ancora: «E' risorto uno degli antichi profeti». [9]Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.



Gesù invia i suoi discepoli per annunziare il regno di Dio. Se dunque anche noi ci percepiamo come suoi discepoli l’invio vale anche per noi. Ma cosa significa annunziare il suo regno? Significa spandere la luce proveniente dal suo volto lungo i sentieri della nostra vita che è fatta di relazioni e d’incontri. Questa luce tuttavia è da intendere bene per non  farne qualcosa d’esteriore o legato ad atteggiamenti solo devozionali. L’unico modo per essere certi che si tratti della luce del nostro Salvatore e non della nostra è quella di pescarla dalla vita di Gesù, dalle sue parole, dal modo come ha vissuto ed interagito con gli uomini del suo tempo. Abbiamo proprio bisogno di entrare di più nella biografia del Signore perché diversamente ci perdiamo la differenza tra Lui e     qualsiasi altro uomo santo esistito su questa terra. E non solo, perché attraverso di Lui abbiamo modo di conoscere noi stessi e le pieghe più o meno ambigue del nostro essere. Gesù dà a coloro che invia la sua forza e questa forza non è qualcosa che ci troviamo addosso come un’aggiunta a quel che siamo, ma è una forza con-saputa perché è il risultato di un rapporto presente ed attivo tra Lui e noi. Gesù dà ai suoi inviati la ‘forza’ per affrontare questo loro cammino di liberazione. E così deve davvero tramontare dal nostro cuore, troppo incline alla lamentazione ed alla debolezza, l’idea che servire il Signore significhi l’assenza dentro di noi di qualcosa che ci sostenga in tutto ciò che facciamo nel nome di Gesù.  Il punto vero allora è chiedersi se nella nostra quotidianità il nome e la presenza di Gesù sia il motore che ci spinge ad affrontare la vita.  Interrogarci su ciò può fare la differenza tra l’essere cristiani davvero o solo per iscrizione anagrafica. Tra le raccomandazioni che Gesù dà ai suoi inviati c’è anche questa:  “Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi”. (Lc 9,5) Questo suggerimento è importante ma anche qui occorre tener presente che la sua interpretazione non è univoca perché, assieme a quella in cui lo scuotersi la polvere dai piedi può significare liberarsi da qualsiasi cosa possa creare una sorta di alleanza nascosta con gli ospiti visitati, ve ne sono almeno altre due: la prima  vuol dire agli interessati: prendetevi la responsabilità del vostro gesto perché noi siamo venuti in pace; e la seconda  che riguarda proprio gli inviati: questi devono allontanare da sé qualsiasi sentimento negativo contro coloro che li hanno respinti. Cosa non facile se non si è radicati nell’amore di Cristo Gesù.