Lc 9, 1-6 lunedì 7 Dicembre 2016
[1]Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. [2]E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. [3]Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno.[4]In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. [5]Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi».[6]Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni. [7]Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», [8]altri: «E' apparso Elia», e altri ancora: «E' risorto uno degli antichi profeti». [9]Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.
Gesù invia i suoi discepoli per annunziare
il regno di Dio. Se dunque anche noi ci percepiamo come suoi discepoli l’invio
vale anche per noi. Ma cosa significa annunziare il suo regno? Significa
spandere la luce proveniente dal suo volto lungo i sentieri della nostra vita
che è fatta di relazioni e d’incontri. Questa luce tuttavia è da intendere bene
per non farne qualcosa d’esteriore o
legato ad atteggiamenti solo devozionali. L’unico modo per essere certi che si
tratti della luce del nostro Salvatore e non della nostra è quella di pescarla
dalla vita di Gesù, dalle sue parole, dal modo come ha vissuto ed interagito
con gli uomini del suo tempo. Abbiamo proprio bisogno di entrare di più nella
biografia del Signore perché diversamente ci perdiamo la differenza tra Lui e qualsiasi
altro uomo santo esistito su questa terra. E non solo, perché attraverso di Lui
abbiamo modo di conoscere noi stessi e le pieghe più o meno ambigue del nostro
essere. Gesù dà a coloro che invia la sua forza e questa forza non è qualcosa
che ci troviamo addosso come un’aggiunta a quel che siamo, ma è una forza con-saputa
perché è il risultato di un rapporto presente ed attivo tra Lui e noi. Gesù dà
ai suoi inviati la ‘forza’ per affrontare questo loro cammino di liberazione. E
così deve davvero tramontare dal nostro cuore, troppo incline alla lamentazione
ed alla debolezza, l’idea che servire il Signore significhi l’assenza dentro di
noi di qualcosa che ci sostenga in tutto ciò che facciamo nel nome di Gesù. Il punto vero allora è chiedersi se nella
nostra quotidianità il nome e la presenza di Gesù sia il motore che ci spinge
ad affrontare la vita. Interrogarci su
ciò può fare la differenza tra l’essere cristiani davvero o solo per iscrizione
anagrafica. Tra le raccomandazioni che Gesù dà ai suoi inviati c’è anche
questa: “Quanto a coloro che non vi
accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi”.
(Lc 9,5) Questo suggerimento è importante ma anche qui occorre tener presente
che la sua interpretazione non è univoca perché, assieme a quella in cui lo
scuotersi la polvere dai piedi può significare liberarsi da qualsiasi cosa possa
creare una sorta di alleanza nascosta con gli ospiti visitati, ve ne sono
almeno altre due: la prima vuol dire
agli interessati: prendetevi la responsabilità del vostro gesto perché noi
siamo venuti in pace; e la seconda che
riguarda proprio gli inviati: questi devono allontanare da sé qualsiasi sentimento
negativo contro coloro che li hanno respinti. Cosa non facile se non si è
radicati nell’amore di Cristo Gesù.