martedì 11 ottobre 2016

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 Lc 7, 18-27    mercoledì 22 settembre                                          
[18]Anche Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutti questi avvenimenti. Giovanni chiamò due di essi [19]e li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?». [20]Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?». [21]In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. [22]Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella[23]E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!».
[24]Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù cominciò a dire alla folla riguardo a Giovanni: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? [25]E allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano vesti sontuose e vivono nella lussuria stanno nei palazzi dei re. [26]Allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. [27]Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco io mando davanti a te il mio messaggero,

                                                           

Gesù si fa precedere lungo la linea di comprensione del disegno divino da Giovanni Battista. Ci colpisce questo suo farsi annunciare dal momento che avrebbe potuto dire : “Ecco sono arrivato io e vi spiego tutto”. Dobbiamo imparare tanto da questo suo modo di entrare nella realtà umana e cioè sempre in modo delicato e non in contrapposizione con chi l’ha preceduto. Anzi anche se il suo messaggio è diverso da quello di Giovanni Battista Egli lo indica come un grandissimo uomo e cioè gli dà onore. Avrebbe potuto dire: “Giovanni aveva in mente una idea di Dio che punisce mentre io vi porto ben altro!”. Ed invece nulla di tutto ciò ma grazie ad una profonda lettura della vita di Giovanni lo vede plasmato da una delle tradizioni che lo hanno preceduto. Ciò ci porta a considerare il modo con cui ci rapportiamo spesso con coloro che la pensano diversamente da noi: li riduciamo solo ad un nucleo di idee da combattere senza considerarli nei loro vissuti che spesso sono portatori di  importanti lezioni di vita. Gesù elogia il suo stile anche se non sarà il suo: “E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto.”. (Mt 18,32) Che meraviglia questo rispetto, questo indicarlo come un grande. Giovanni rappresenta un prima rispetto ad un dopo, egli è lo spartiacque tra l’Antico ed il nuovo Testamento e per noi potrebbe significare che senza un prima ed un dopo nella comprensione della vita potremmo credere che tutto ciò che abbiamo pensato e fatto sia in una logica naturale del vivere. Ebbene non può essere così perché ciò che viene dal basso (dal prima) , e cioè da noi, non è illuminato da ciò che viene dall’alto e cioè da Dio. Per entrare davvero nella vita di Dio deve esserci per forza una cesura, un taglio che definisca il passaggio dal nostro mondo a quello di Dio. Giovanni Battista pur essendo pieno di Spirito santo anche lui ha vissuto nella sua carne il suo essere prima e nello stesso tempo il suo essere superato dalla figura di Gesù e se ne accorge quando i discepoli anziché riferirgli che era arrivata la scure di Dio su questa terra, e cioè il suo Messia, gli vengono a dire che: “ I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella.”. Quando Gesù dice di riferire a Giovanni ciò che i loro occhi hanno visto è perché egli compia in cuor suo il passaggio tra un prima di un Dio giusto e vendicatore ed un dopo di un Dio misericordioso sceso su questa terra per cercare la pecorella smarrita e portarla a salvezza,  e Giovanni sicuramente questo passaggio prima di morire per mano di Erode l’avrà fatto. 
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Lc 7, 11-17     mercoledì 14 Settembre 2016

[11]In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. [12]Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. [13]Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». [14]E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». [15]Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. [16]Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». [17]La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.


Gesù fa risorgere il figlio di una vedova. Lo muove la compassione verso la madre e così gli ridà il figlio. Occorre anche rivedere la scena in cui Gesù si muove in un contesto pubblico rigidamente integrato in regole precise che Gesù trasgredisce perchè tocca la bara. Ora sappiamo che un ebreo non può toccare una bara perché diventa impuro. Gesù va oltre. Le regole umane non possono fermare chi è mosso da compassione. Compassione per una vedova che aveva perso il suo unico figlio. Gesù ora non è tra noi perché è passato da questa vita a quella del suo Regno ma ha lasciato a  noi il compito di continuare la sua missione. Noi dobbiamo continuare la vita di Dio su questa terra. Tremenda responsabilità che ci vede completamente inadeguati. Gesù ci direbbe che abbiamo proprio ragione, ma Lui non vuole la nostra forza, ma che gli offriamo la nostra debolezza per diventare cooperanti nei miracoli che Lui vuole compiere.  Dal canto nostro l’essere piccoli può giocarci un brutto scherzo e cioè quello di entrare nelle situazioni sentendoci troppo umani per intraprendere con l’aiuto di Dio qualcosa di grande. Eppure il Signore Gesù ci chiede di portare nel mondo non le nostre tenebre ma la Sua luce. Il fatto poi che non ci capita di resuscitare i morti o di operare delle guarigioni non deve abbatterci perché non è la cosa più importante. A noi viene chiesto solo di affinare il nostro essere in modo da essere disponibili verso la sofferenza degli altri. Gesù si muove a compassione perché ha legato la sorte del suo essere a quella degli uomini e così anche noi suoi discepoli siamo chiamati a percorrere la stessa strada. Sebbene queste righe non vogliono entrare nella gestione dei problemi politici, tuttavia, davanti alla sofferenza di tanti popoli e delle persone che sono cacciate dalle loro terre dalla fame e dalla guerra, dobbiamo chiederci se quella compassione di Gesù provata davanti ad un ragazzo morto, non si esprimerebbe nello stesso modo davanti alle catastrofi immani alle quali assistiamo. Un cristiano allora non può volgere le spalle di fronte ai rifugiati perché sa che il suo essere accogliente sarà benedetto e sarà fonte di nuova vita per tutti. 
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Lc 7, 11-17     mercoledì 14 Settembre 2016

[11]In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. [12]Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. [13]Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». [14]E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». [15]Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. [16]Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». [17]La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.


Gesù fa risorgere il figlio di una vedova. Lo muove la compassione verso la madre e così gli ridà il figlio. Occorre anche rivedere la scena in cui Gesù si muove in un contesto pubblico rigidamente integrato in regole precise che Gesù trasgredisce perchè tocca la bara. Ora sappiamo che un ebreo non può toccare una bara perché diventa impuro. Gesù va oltre. Le regole umane non possono fermare chi è mosso da compassione. Compassione per una vedova che aveva perso il suo unico figlio. Gesù ora non è tra noi perché è passato da questa vita a quella del suo Regno ma ha lasciato a  noi il compito di continuare la sua missione. Noi dobbiamo continuare la vita di Dio su questa terra. Tremenda responsabilità che ci vede completamente inadeguati. Gesù ci direbbe che abbiamo proprio ragione, ma Lui non vuole la nostra forza, ma che gli offriamo la nostra debolezza per diventare cooperanti nei miracoli che Lui vuole compiere.  Dal canto nostro l’essere piccoli può giocarci un brutto scherzo e cioè quello di entrare nelle situazioni sentendoci troppo umani per intraprendere con l’aiuto di Dio qualcosa di grande. Eppure il Signore Gesù ci chiede di portare nel mondo non le nostre tenebre ma la Sua luce. Il fatto poi che non ci capita di resuscitare i morti o di operare delle guarigioni non deve abbatterci perché non è la cosa più importante. A noi viene chiesto solo di affinare il nostro essere in modo da essere disponibili verso la sofferenza degli altri. Gesù si muove a compassione perché ha legato la sorte del suo essere a quella degli uomini e così anche noi suoi discepoli siamo chiamati a percorrere la stessa strada. Sebbene queste righe non vogliono entrare nella gestione dei problemi politici, tuttavia, davanti alla sofferenza di tanti popoli e delle persone che sono cacciate dalle loro terre dalla fame e dalla guerra, dobbiamo chiederci se quella compassione di Gesù provata davanti ad un ragazzo morto, non si esprimerebbe nello stesso modo davanti alle catastrofi immani alle quali assistiamo. Un cristiano allora non può volgere le spalle di fronte ai rifugiati perché sa che il suo essere accogliente sarà benedetto e sarà fonte di nuova vita per tutti. 


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        Lc 7, 1-10                    mercoledì 20 luglio 2016


[1]Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. [2]Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. [3]Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. [4]Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, [5]perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga». [6]Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; [7]per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. [8]Anch'io infatti sono uomo sottoposto a un'autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all'uno: Và ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fà questo, ed egli lo fa». [9]All'udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». [10]E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.


Il vangelo ci parla della guarigione di un servo che grazie alla preghiera del suo padrone, un centurione romano, fa dire a Gesù: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». (Lc, 7, 9). Ma cosa era successo per farLo meravigliare così tanto? Anzitutto l’amore del centurione verso il suo servo e poi il suo essere convinto che bastasse una  parola di Gesù detta a distanza per ottenere il miracolo. Per capirci qualcosa pensiamo al nostro modo usuale di pensare ad un miracolo. Noi incorniciamo sempre l’ottenimento di una un miracolo all’interno di un rituale e cioè della presenza sia del malato che del guaritore il quale deve fare comunque qualcosa o toccare il malato o rivolgergli direttamente la parola. Qui non c’è niente di tutto questo perché il centurione dice a Gesù che può guarire il suo servo a distanza e senza che venga a casa sua. Da qui capiamo che per Gesù può accadere che  il tempo e lo spazio non contino più perché egli ha il potere di accedere ad un mondo di forze che sono ai suoi comandi e che operano per Lui, poi che Egli concede la guarigione in forza della fede del centurione. Ciò significa che per ottenere qualcosa da Dio occorre  che chi chiede deve crederci davvero. Ora ci si potrebbe chiedere come mai un pagano come il centurione potesse avere una fede così forte ed allora scopriamo che questi era uno che amava il popolo d’Israele tanto d’avere costruito una sinagoga. Il bene compiuto deve essere stato il motore da cui deve essere partito tutto. Ciò per noi significa che qualsiasi uomo, appartenente alle più diverse ideologie e religioni, se opera il bene questo gli viene iscritto nei cieli e diventa per lui un’occasione in questo mondo di una crescita e di una apertura di orizzonti sempre più soddisfacenti per la sua umanità.Questo è il mondo a cui  Gesù ci chiama, un mondo in cui l’affidamento alla sua persona ha il potere di rendere la  vita migliore sotto tutti gli aspetti.   
    
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Lc 6, 39 – 42  mercoledì 13 Luglio 2016

[39]Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca? [40]Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.[41]Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? [42]Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.



“Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.” . Gesù ci invita a fare un lavoro interiore profondo per liberarci dalla trave presente nel nostro occhio. E la domanda è: “Questa trave ce l’abbiamo tutti o solo alcuni?”. Purtroppo non c’è donna o uomo che non ce l’abbia. Ed ancora: “ Se ce l’avessimo davvero come mai non ce ne accorgiamo?”. Bella domanda a cui occorre rispondere con sincerità e verità. Nasciamo in un contesto storico, in una famiglia e portiamo avanti fin da piccoli la visione del mondo che riceviamo dai genitori. Salvo rari casi di santità, che consiste in un rapporto di filiale ricezione delle parole divine  ed in una correzione paterna da parte del Creatore, crediamo che ciò che abbiamo appreso e verificato nel nostro piccolo circuito di vita sia sempre il modo corretto con cui giudicare ed interagire con gli altri. Chi vuol seguire Gesù deve invece capire che quasi la totalità delle cose che ci passano per la mente costituiscono l’asse portante della trave che oscura la  vista. Se le cose sono davvero così capite bene che la nostra situazione esistenziale deve davvero essere ribaltata. Ma come possiamo convincercene? Dove possiamo trovare un medico capace di operarci proprio nell’organo della vista che per noi a questo punto significa o non vederci più perché il medico non ci sa fare oppure recuperare una capacità di visione tale che ci permetta non solo di vivere bene ma anche di aiutare i nostri fratelli a liberarsi di ciò che li fa soffrire? Ecco a Chi dobbiamo affidarci, a Gesù : “Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. “ (Lc 6 47-48) . Gesù ci invita a scavare profondo, a rivedere da dove è partita la nostra vita, che cosa ci è stato insegnato, quali sono i valori su cui facciamo affidamento. Un aiuto ci può venire dall’analisi dei nostri fallimenti, ma di più dal mettere la nostra vita in controluce con quella di Gesù per vedere se siamo animati dallo stesso spirito. Ma oggi c’è mai qualcuno che sia disposto a farlo davvero?
   
                                                                                    
                                                                   
   
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Lc 6, 6-11                                                    mercoledì 22 giugno 2016


[6]Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c'era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. [7]Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. [8]Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Alzati e mettiti nel mezzo!». L'uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato. [9]Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: E' lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?». [10]E volgendo tutt'intorno lo sguardo su di loro, disse all'uomo: «Stendi la mano!». Egli lo fece e la mano guarì.[11]Ma essi furono pieni di rabbia e discutevano fra di loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.


Il tema è quello di Gesù ed il sabato di cui si proclama Signore. Per gli ebrei nel giorno di sabato era proibito fare delle azioni e nel nostro caso era ritenuto proibito guarire in giorno di sabato. Gesù guarisce un uomo che aveva la mano paralizzata e con le sue sole parole («Stendi la mano!»)  cambia la realtà fisica dell’uomo. Gesù parla con autorità perchè ciò che dice fa e ciò che fa corrisponde alle sue parole. Oggi abbiamo tutti bisogno del modo d’essere di Gesù perchè tra  il nostro dire ed il nostro fare ci passa davvero il mare. La nostra parola non è capace di cambiare la realtà semplicemente perchè non crediamo che possiamo farlo. Preferiamo darci all’arte dell’interpretazione  perché la troviamo più confacente al nostro modo mentale di affrontarla e così perdiamo la vita vera e tutto ciò poi ci serve per altre interpretazioni.  Il brano però non è solo finalizzato a farci vedere il miracolo della mano guarita ma a renderci liberi di fronte alle leggi quando queste si oppongono alla vera vita dell’uomo. Bene fa l’Italia a salvare dalla morte coloro che vogliono raggiungere il nostro paese e male fanno tutti coloro che in nome delle più svariate motivazioni preferirebbero magari evitare qualsiasi tipo di soccorso per scoraggiare i migranti che si mettono in mare. Da una parte dunque quelli che vorrebbero votare leggi respingenti, dall’altra coloro che pur percependo la complessità del problema, non ritirano la mano nel momento in cui c’è bisogno di darla. E credo che il Signore stia benedicendo l’Italia solo per questa potente e buona operazione umanitaria. 
   
                                                                                                                                                           

venerdì 17 giugno 2016

XI SETTIMANA DEL T.O.  - SABATO




Mt 6, 24-34


In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena». 




 E 'preoccuparsi' significa tutto ciò ma in anticipo e non in relazione ad un luogo ma ad una condizione del proprio spirito  dove ci si mette in ansia o in agitazione o ci si fa prendere dal timore per qualcosa che avverrà dopo.  Gesù dicendoci di non preoccuparci è come se volesse dirci che il posto del cuore deve essere libero da tutto ciò che lo lega a cose, importanti sì, ma la cui gestione non è affidata solo alla nostra cura. Noi invece crediamo che la nostra esistenza personale e tutto ciò che facciamo dipende da noi e quindi quando i problemi della vita si presentano davanti alla soglia della nostra casa ecco che ce ne preoccupiamo. Diverso è il ‘prendersene cura’ al momento giusto e cioè quando la realtà stessa ce lo chiede senza anticiparne i tempi. Ciò che ci propone Gesù, come al solito, scardina i nostri pensieri correnti. E per cominciare un cammino di avvicinamento alla verità delle sue parole dobbiamo fare due constatazioni la prima è che  il peso delle cose su di noi è in effetti esagerato soprattutto quando ce ne siamo preoccupati tanto e la seconda che una volta arrivati alla svolta della risoluzione ci accorgiamo che in effetti non c’era bisogno di tutta questa ansia. Tutto si gioca allora sulla sfera del tempo e cioè noi anticipando in modo ansioso il nostro interessarci di qualcosa che avverrà nel futuro togliamo al presente l’apporto della nostra presenza. Ora il presente, che è formato dalla nostra persona e da tutto ciò che ci viene incontro, ha in sé una forza che invece non ha ciò che ancora deve avvenire. Ciò che ci viene incontro assieme alla nostra persona ed alle sue estensioni spirituali  diventa fonte di risposte e di soluzioni che solo il nostro essersi preoccupati prima non può mai immaginare. Ecco dunque perché è inutile preoccuparsi prima, e cioè mettersi in ansia, dal momento che sono poche le cose che si possono vedere da questa postazione anticipata. Diverso è il ‘prendersi cura’ quando guidati dalla prudenza ci mettiamo in moto perché è la realtà stessa che ce lo chiede.  L’attacco dunque che fa Gesù al nostro modo sbagliato di vivere è salutare perché il ‘preoccuparci’  oscura il nostro clima interiore non lasciando spazio per altro. E cosa oscura la preoccupazione? Proprio il nostro rapporto con Dio perché ci fa vivere come se fossimo orfani ed abbandonati e tutto il peso della vita dovesse cadere sulle nostre spalle che proprio perché  piccole fanno presto ad ammalarsi e dolere. Gesù con le sue parole è come un vento potente che vuole spazzare via dal nostro cuore tutte  le ansie e le infinite quisquiglie che abbiamo messo in trono e che però affaticano la nostra vita e ci fanno vivere con il fiato corto ed in modo asfittico. Egli ci dice che nel regno del Padre non esiste che qualcuno possa essere abbandonato e se la nostra mente a questo punto dicesse che invece Dio abbandona visto quanto male si vede in giro, allora  dobbiamo fare i conti con la qualità del nostro credere. Crediamo al serpente che insinua un secondo fine nel divieto di mangiare la mela ( Dio vuole tenere per sé la conoscenza del bene e del male – e vuole impaurire con lo spauracchio della morte:  «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Gen 2,16-17) oppure crediamo a Gesù che ci parla della bontà del Padre e di come Lui ci segue e si prende cura di noi? Dobbiamo credere che è davvero come ci poniamo noi di fronte al Padre ed a Gesù che cambia l’orizzonte della nostra vita: se non gli crediamo avremo una vita piena di preoccupazioni se invece gli crediamo di certo non ci saranno tolti i dolori quando la vita ce li porta ma assieme la forza di viverli e soprattutto la serenità di viversi come neonati nelle mani di Chi ci ama. 

mercoledì 15 giugno 2016





Lc 6, 27-35                                                        mercoledì 15 giugno 2016
La domanda è : “Come si può chiedere di amare i propri nemici?” e la domanda non è di quelle retoriche ma viene spontanea dopo l’uccisione di 50 persone da parte di un fanatico ispirato dall’odio. Per rispondere a questa domanda in linea con il sentimento di Gesù prendiamo atto del riferimento importante che Lui ci dà per convincerci ad amare i nostri nemici. Egli sostiene che siccome il Padre celeste non odia  neppure noi possiamo odiare, se fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni pure noi pure dobbiamo avere verso tutti, compresi i cattivi, lo stesso atteggiamento di amore. Ora  chiediamoci ancora: Come posso amare l’uccisore  di tutte  queste persone? Direi che proprio non posso con le sole mie forze. Perché la prima cosa che viene in mente di fronte ad uno che uccide è quella di ucciderlo. E dunque la salvaguardia per non arrivare a tanto è quello di non odiarlo, ma questa via per non odiare il nemico la chiamerei negativa e non è sufficiente a soddisfare ciò che il Signore ci chiede e cioè l’amore del nemico. Cerchiamo allora di capire perché Gesù vuole da noi questo comportamento e scopriremo che la risposta è questa : il Padre celeste vuole tutti salvi e volendoli salvi ha concesso all’uomo tutto il tempo della sua vita perché possa ravvedersi. Se odio il nemico non posso partecipare a questo disegno divino rivolto a tutti gli uomini anche i più malvagi perché il mio intento è quello di non concedergli quel tempo che Dio stesso ha dato per il loro ravvedimento. Senza dire che l’odio vissuto con tutte le fibre del proprio essere ci deforma e ci fa assomigliare non al Padre celeste ma al suo avversario.  Mentre l'amore, e cioè quello della salvezza vera del corpo e dello spirito del nostro avversario, è qualcosa di grandioso e di divino che ci fa somigliare di più al Padre celeste ed alla sua perfezione.
                                                                              Comunità del Monte Tabor












                                                                                    
1 Giugno 2016 Lc 5, 17 - 25

I primi passi di Gesù nella vita pubblica sono subito costellati dalle guarigioni . Viene guarito un lebbroso ed un paralitico. Ciò che colpisce, almeno per il paralitico, è l’ammirazione di Gesù riguardo alla fede di coloro che gli avevano portato il malato. In un altro passo, a proposito di una donna che aveva delle perdite di sangue, Gesù così si esprime:” "Figlia, la tua fede ti ha salvata in pace!”. Gesù sembra mettersi in disparte ed attribuire il miracolo alla fede di chi Gli si trova davanti.  Venendo ai nostri giorni perché ci troviamo in un mondo così disastrato? Forse perché non abbiamo il coraggio di portare avanti una visione di grande respiro non avendo fede che ciò che pensiamo con la nostra mente possa davvero diventare realtà. Gesù ebbe la grande visione di portarci viventi al suo Padre celest e e ci è riuscito ed allora poniamoci la domanda: “ Noi abbiamo qualcosa di grande nella nostra vita che non sia il calcolo degli interessi su ciò che operiamo?”.


Comunità del Monte Tabor

mercoledì 17 novembre 2010



Mc 14

[66]Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote [67]e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». [68]Ma egli negò: «Non so e non capisco quello che vuoi dire». Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò. [69]E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è di quelli». [70]Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: «Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo». [71]Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo che voi dite». [72]Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte». E scoppiò in pianto.


Pietro ci da l’occasione di pensare come, anche se non con il tradimento, a livello psicologico anche a noi capiti di avere paura di portare fino in fondo il rapporto con chi ci vuole bene. Per paura ci tratteniamo dal produrre parole e gesti che possano in qualche modo metterci in un rapporto più profondo e qualche volta intraprendiamo la via del rinnegamento. Questa purtroppo è la nostra realtà umana che Gesù conosce bene perché egli è stato inviato sulla terra proprio a seguito dei molteplici e continui tradimenti del suo popolo. Gesù allora per aiutare il suo discepolo Pietro, e di conseguenza tutti noi uomini, a superare le conseguenze psicologiche e spirituali di questa sua caduta trova il modo di venirgli incontro. E avvertendolo di ciò che gli succederà («Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte») gli prepara un ponte che al momento opportuno potrà farlo uscire dall’abisso della sua colpa. Quando Pietro sente il gallo cantare capisce che quelle parole di Gesù avevano lo scopo non solo di predirgli ciò che sarebbe successo ma quello di preparargli la strada (il ponte) per il ritorno. E’ questa attenzione del Maestro che lo tocca nel profondo del cuore e che disarma anche quel male che lui stesso si sarebbe inferto quando a mente più lucida si sarebbe reso conto di aver tradito un amico ed un maestro e che Maestro! Anche nelle nostre relazioni con chi ci ha fatto del male dobbiamo, quando è possibile, offrire qualcosa che aiuti l’altro a ritornare. Se Gesù è il nostro Maestro vuol dire che con il suo aiuto è possibile immaginare un modo in cui chi ci ha fatto del male trovi nella parte che ritiene avversa non odio ma un invito, ed addirittura la costruzione di un ponte, che faciliti il suo ritorno.