martedì 11 ottobre 2016

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Lc 7, 11-17     mercoledì 14 Settembre 2016

[11]In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. [12]Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. [13]Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». [14]E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». [15]Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. [16]Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». [17]La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.


Gesù fa risorgere il figlio di una vedova. Lo muove la compassione verso la madre e così gli ridà il figlio. Occorre anche rivedere la scena in cui Gesù si muove in un contesto pubblico rigidamente integrato in regole precise che Gesù trasgredisce perchè tocca la bara. Ora sappiamo che un ebreo non può toccare una bara perché diventa impuro. Gesù va oltre. Le regole umane non possono fermare chi è mosso da compassione. Compassione per una vedova che aveva perso il suo unico figlio. Gesù ora non è tra noi perché è passato da questa vita a quella del suo Regno ma ha lasciato a  noi il compito di continuare la sua missione. Noi dobbiamo continuare la vita di Dio su questa terra. Tremenda responsabilità che ci vede completamente inadeguati. Gesù ci direbbe che abbiamo proprio ragione, ma Lui non vuole la nostra forza, ma che gli offriamo la nostra debolezza per diventare cooperanti nei miracoli che Lui vuole compiere.  Dal canto nostro l’essere piccoli può giocarci un brutto scherzo e cioè quello di entrare nelle situazioni sentendoci troppo umani per intraprendere con l’aiuto di Dio qualcosa di grande. Eppure il Signore Gesù ci chiede di portare nel mondo non le nostre tenebre ma la Sua luce. Il fatto poi che non ci capita di resuscitare i morti o di operare delle guarigioni non deve abbatterci perché non è la cosa più importante. A noi viene chiesto solo di affinare il nostro essere in modo da essere disponibili verso la sofferenza degli altri. Gesù si muove a compassione perché ha legato la sorte del suo essere a quella degli uomini e così anche noi suoi discepoli siamo chiamati a percorrere la stessa strada. Sebbene queste righe non vogliono entrare nella gestione dei problemi politici, tuttavia, davanti alla sofferenza di tanti popoli e delle persone che sono cacciate dalle loro terre dalla fame e dalla guerra, dobbiamo chiederci se quella compassione di Gesù provata davanti ad un ragazzo morto, non si esprimerebbe nello stesso modo davanti alle catastrofi immani alle quali assistiamo. Un cristiano allora non può volgere le spalle di fronte ai rifugiati perché sa che il suo essere accogliente sarà benedetto e sarà fonte di nuova vita per tutti.